Sunday, June 10, 2007

Clap clap

Il reportage di Mario Calabresi dall'aereo dei giornalisti al seguito di Bush. Su Repubblica di oggi.

l a prima cosa che ti chiedono alla base militare di Andrews in Maryland, venti chilometri a sud-est di Washington, è di consegnare il passaporto. Lo rivedrai nove giorni dopo, ti verrà restituito solo quando sarai di nuovo al Virginia Gate, l´ingresso della base che dal 1962, per decisione di John Kennedy, è la casa dell´Air Force One, l´aereo del presidente degli Stati Uniti. Stai partendo per un viaggio che ti porterà insieme ad altri centodue giornalisti e a trenta agenti del Secret Service dall´altro lato dell´Atlantico, a saltare da una parte all´altra dell´Europa. Ma non hai in mano nulla, non solo non hai più il tuo documento, ma neppure un biglietto aereo, una prenotazione, un pezzo di carta, il nome di un albergo. Nulla. Hai solo il tuo nome.
Sotto la pioggia, al check-in della base, abbassi il finestrino del taxi e a una soldatessa dai capelli rossi dici come ti chiami. Lei passa e ripassa l´elenco e tu resti in apnea, se non trova il nome salta tutto. Poi ti sorride, fa un cenno con il capo e da quel momento sarà la macchina organizzativa della Casa Bianca ad occuparsi di te. Trasportarti in aereo, un po´ in business class un po´ in economica a seconda di complicatissime alchimie che ben pochi sono in grado di decrittare, in autobus, in barca e all´occorrenza in elicottero. Darti da mangiare, preoccupazione costante e continua, in ogni luogo e in ogni momento, a ciclo continuo. Dalla sala d´attesa, all´aereo, al pullman, fino al centro stampa e ritorno, il cibo non manca mai. In aereo c´è anche l´alcool, abbondante come nelle feste universitarie che si rispettino, poi quando c´è da lavorare scompare improvvisamente e trionfano Coca Cola, caffè e litri di succhi di frutta.
Nella sala d´attesa la differenza tra veterani e novizi è data da un particolare invisibile, una minuscola catenella al collo sopra la camicia. Presto si capirà a cosa serve. Distribuiscono il pass plastificato che aprirà le porte delle conferenze stampa, degli alberghi, dei bus, degli aerei, che convincerà gli addetti alla sicurezza di ogni paese a lasciarti passare, che sarà il tuo unico segno di identità per tutto il viaggio. I veterani lo agganciano subito alla catenella con gesto distratto, mentre salutano i vecchi amici; i novizi se lo gireranno a lungo tra le mani cercando un modo per sistemarlo da qualche parte.
Non si fa il check-in e non si devono spedire le valigie. O meglio, tutti viaggiano con il solo bagaglio a mano, altrimenti bisognerebbe consegnarlo tre ore prima della partenza e, visto che, per esempio, da Roma per Tirana si parte alla 4 e 45 del mattino, la sola idea di alzarsi dal letto poco dopo la mezzanotte cancella qualsiasi tentazione di portarsi dietro l´intero guardaroba.
Sotto la scaletta viene distribuito l´organigramma del potere, che stabilisce in modo indiscutibile l´importanza di ogni testata. È la mappa dei posti a sedere. In prima classe ci sono dieci posti. Nella top ten entra un solo quotidiano - a rotazione tra New York Times, Washington Post e Los Angeles Times -; quattro agenzie di stampa: Associated Press, Reuters, Bloomberg, France Presse; e cinque televisioni: Cnn, Abc, Fox, Cbs e Nbc. Presto scoprirò che sono loro a dettare i tempi degli spostamenti e tutti si dovranno adeguare alle loro necessità. Fanno ascolto, fanno profitti, fanno sempre la differenza, decidono i destini dei presidenti, conterà pur qualcosa tutto ciò. Nelle prime file della business ci sono i settimanali Time e Newsweek e i fotografi delle agenzie. Seguono gli altri giornali americani e poi le radio.
Prima di arrivare in fondo, verso la classe economica, dove le poltrone si restringono e dormire diventa difficile, restano dieci posti liberi. Sono per i corrispondenti stranieri. A rotazione se li giocheranno giapponesi, italiani e tedeschi, i tre paesi che mandano più giornalisti al seguito del presidente degli Stati Uniti. Comprendere la logica che li assegna è impossibile, nell´algoritmo vanno infilati il numero dei viaggi fatti dalla testata, l´importanza che gli americani le attribuiscono, le nazioni che verranno toccate nel programma, i precedenti e l´anzianità del corrispondente. Poi forse anche la sorte aiuta, se il novizio a sorpresa si trova seduto dietro al Financial Times.
Finalmente si sale sulla scaletta di questo Boeing 777 della United Airlines. Benvenuti sull´Air Press One, l´aereo che trasporta i giornalisti che seguono l´imperatore americano nei suoi viaggi. Ennio Caretto, una vita in America tra Stampa e Repubblica, corrispondente da Washington del Corriere della Sera e veterano di queste trasferte - ha cominciato con un memorabile viaggio di Nixon da Washington alla California per ricevere Leonid Breznev nel giugno del 1973 - mi avvisa sulla scaletta: «Adesso entriamo allo zoo, perché il vero nome di questo aereo è "the zoo"».
Resto interdetto, mi aspettavo un ambiente formale, silenzioso, pieno di secchioni. La prima cosa che si vede è l´immediato pellegrinaggio al buffet e al carrello con il vino bianco e lo champagne. Tutti si conoscono, le hostess si illuminano nel rivedere volti conosciuti. Nessuno chiede di allacciarsi le cinture, non ci sono i filmati illustrativi delle procedure di sicurezza, né le raccomandazioni. Tanto che mentre l´aereo già si muove sulla pista, molti continuano a telefonare, altri compulsivamente proseguono a scrivere sui cellulari o ascoltano la musica in cuffie gigantesche. Mentre l´aereo decolla c´è chi ha già reclinato il sedile e chi sta in piedi. Ora comincio a capire il soprannome.
Le ali non si sono ancora rimesse in parallelo con il terreno che già una voce potente chiama la lotteria. È la voce di Rodney Batten, gigantesco cameraman nero della Nbc. Ha in testa un cappello da joker con le punte colorate, comincia a fare una musichetta con la bocca al microfono, come un rapper, e chiama «Seato». Il nome di questa lotteria aerea prende il nome da seat - posto a sedere - e la si fa dagli anni Ottanta, quando l´Air Press One volava dietro a Ronald Reagan. Rodney passa con un sacco di tela bianca e raccoglie biglietti da venti dollari, su cui ognuno segna a pennarello il suo numero di posto. Ogni mezz´ora torna all´attacco per convincere gli indecisi: motivetto musicale introduttivo e poi la cifra: «Ladies and gentlemen, siamo arrivati a 1.020 dollari, non perdete l´occasione». A 1.380 dollari decide di fermarsi. Ora c´è l´estrazione, quindici secondi di suspense poi vince il 14E. Eberhard Plitz, corrispondente da Washington della televisione tedesca Zdf alza le braccia al cielo tra gli applausi. Arriva una giornalista televisiva che lo bacia sulla guancia per la foto di rito, come si fa con il vincitore all´arrivo di tappa al Giro o al Tour, poi Ronald gli consegna il bottino. Segue lungo giro dell´aereo per ringraziare.
Lo scorso anno, nel viaggio del presidente in Giappone, vinsero gli italiani, che si erano consorziati e decisero di dare il premio in beneficenza. Annunciarono che lo avrebbero mandato alla vedova e ai figli di un poliziotto morto cadendo dalla moto mentre faceva la scorta a Bush durante la tappa alle Hawaii. Ovazione degli americani, pacche sulle spalle, strette di mano, complimenti, ma poi nessuno ha seguito l´esempio.
Ogni occasione per brindare o festeggiare è benvenuta: compleanni, matrimoni, cambi di carriera e ultimi viaggi vengono annunciati all´altoparlante. Giampiero Gramaglia, corrispondente da Washington per l´Ansa, diventa direttore dell´agenzia e la notizia viene data durante un viaggio tra Amman e Washington: sull´aereo si spellano le mani e subito si stappa lo champagne. Il clima si fa leggermente più serio non appena viene distribuito il press kit, grande librone giallo con tutto quello che bisogna sapere: tappe, spostamenti, appuntamenti, cartine, schede delle nazioni visitate, biografie di premier, curiosità e statistiche. Parte la caccia all´errore. Questa volta non ce ne sono molti, ma Berlusconi per la Casa Bianca è il Cavalliere, con due elle.
Si scoprono anche dettagli non secondari: che lo zoo non passerà dalla Polonia ma andrà direttamente da Heiligendam, sede del G8, a Roma, perché i signori delle televisioni non possono permettersi di essere in volo di sera, quando sulla costa est degli Stati Uniti parte il prime time, la fascia pomeridiana e serale di maggior ascolto. Per le sei del pomeriggio vogliono un bel collegamento con lo sfondo del Cupolone di San Pietro. Pazienza per il presidente polacco e poi tutti sono felici di andare a cena a Roma. Già a Praga c´è chi prenota e chiede consigli agli italiani.
Il presidente non resta mai solo. Con lui sull´Air Force One, aereo con stanza da letto, tavolo di quercia per le riunioni, sala operatoria e un telefono con ventotto linee criptate, c´è il pool. Sono cinque o sei giornalisti, sempre e solo americani, che a rotazione lo seguono ovunque e poi fanno rapporto via mail dai loro palmari a tutti gli altri. Danno al volo le notizie più importanti e rispettano il gioco di squadra. Una riga per «allertarvi: Putin ha proposto di mettere il sistema di difesa antimissile in Azerbaigian».
E raccontano dettagli e curiosità, per permettere a tutti di infilare un po´ di colore nei pezzi. Sheryl Stolberg del New York Times era nel pool che è finito a Jurata in Polonia. Bush al mattino si era sentito male: «Ho chiesto a Potus come si sentiva, lui ha alzato i pollici verso l´alto e ha detto: "Bene, grazie". Ma lo ha fatto con una voce debole e le sue guance erano più rosse del solito e poi non ha più detto una parola. Insomma non sembrava stare tanto bene». Pochi minuti dopo si ricollega: «Il presidente Lech Kaczynski e sua moglie Maria, insieme al loro cane Titus, che somiglia a Barney - lo scottish terrier che abita alla Casa Bianca - hanno dato il benvenuto a Potus e Flotus. I Kaczynski, il loro cane e i Bush si sono messi in posa per una foto insieme di fronte al giardino che degradava fino al Baltico, il tempo era perfetto, la luce brillante e c´era un venticello fresco. "Oh, è meraviglioso", ha detto Laura Bush, poi ha guardato il cane che era al guinzaglio e ha aggiunto: "Ci sentiamo proprio come a casa"». Per i giornalisti del pool la coppia presidenziale si chiama sempre Potus (President of the United States) e Flotus (First Lady of the US), per lo staff della Casa Bianca invece sono the President e mrs. Bush.
In fondo all´aereo siedono uomini giganteschi, i capelli cortissimi. Sono gli agenti dello US Secret Service, il servizio segreto che da centosei anni garantisce la sicurezza del presidente e del suo seguito. Producono e vendono i gadget, a partire dalla maglietta blu, nera e bordeaux con lo stemma del presidente che contiene l´aquila e la scritta European Presidential Trip 2007. Costo venticinque dollari. Sono superallenati, dormono in spazi ristretti e si alzano per andare verso l´uscita mentre l´aereo sta ancora atterrando.
Appena a terra si corre in sala stampa, tutto è già allestito, si passa da un acquario a un altro. Ma qui c´è la colonna sonora. È la voce di Mark Knoller da Brooklyn, l´uomo della radio Cbs. Ha cominciato con Ford e ha il record delle miglia percorse con Bill Clinton. È un uomo immenso, con la barba; somiglia a Michael Moore ma con una voce profonda e possente. Quando si collega - succede anche ogni quindici minuti - tutti prendono appunti: ha il dono della sintesi, l´attacco del pezzo è pronto.
Quelli delle agenzie si marcano stretto, se uno di loro si alza di scatto tutti gli altri lo seguono correndo con il taccuino in mano, nessuno sa perché ma la meta è sempre la stanza allestita per lo staff di comunicazione della Casa Bianca. Le vittime sono Gordon Johndroe, texano di trentadue anni, portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, che segue Bush da quasi un decennio, e Salvatore Antonio Fratto, detto Tony, quarantuno anni la prossima settimana. Tony è figlio di italiani e ricorda volentieri le estati passate a Cefalù, quando si alzava alle quattro del mattino per innaffiare i limoni con il nonno. La loro specialità è minimizzare. La loro mimica facciale è perfetta. Sono pagati per essere veloci e risolvere problemi. Capita che arrivino di corsa e dicano: «Nessun soldato turco è entrato in Kurdistan». Cosa? Come? Perché? «La notizia», proseguono, «è destituita di fondamento». Solo allora qualcuno si accorge che da pochi minuti circola in rete un´indiscrezione. Il loro controllo è globale, e intervengono subito, prima che la valanga cominci a rotolare e qualcuno inizi a pensare che la Turchia ha mandato i suoi soldati in Iraq. Il presidente si vede pochissimo, i suoi consiglieri però si fanno sentire in continuazione: spiegano, analizzano, forniscono dati, non demordono.
In sala stampa non spengono mai la luce: i giornalisti lavorano a ondate, a seconda dei fusi orari. All´alba ci sono i giapponesi, nel primo pomeriggio i tedeschi che chiudono presto i loro giornali, poi gli italiani, la sera gli americani, poi di notte tornano i giapponesi. Tutti mangiano in sala stampa, il piatto accanto al computer. Roma fa eccezione e un esercito di cinici disincantati, mentre il pullman passa davanti ai Fori, si scioglie e per un attimo si lascia andare: «Wonderful».
Nella Città eterna si arriva con tre ore d´anticipo. Lo ha deciso Ann Compton. Lavora per la Abc, è la veterana: ha cominciato nei giorni del Watergate ed è stata l´unica giornalista tv ad essere ammessa sull´Air Force One l´11 settembre 2001, mentre il presidente girava per i cieli d´America per stare lontano da Washington. Questo le dà l´autorevolezza necessaria a guidare l´Associazione dei corrispondenti dalla Casa Bianca e a fare l´organizzatrice: è l´unica che riesce a cambiare gli orari dei voli e degli spostamenti.
Ogni volta che l´ora della partenza cambia entra un ragazzo dell´organizzazione e urla: «Si rinvia di trenta minuti, but soft not hard». Significa che la mezz´ora è flessibile. Se fosse hard sarebbero trenta minuti spaccati e si partirebbe senza i ritardatari. Che resterebbero a terra senza passaporto. Lontano dal circo, fuori dallo zoo.

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