Wednesday, April 25, 2007

Prima del papa nero, ci vuole quello verde

Quel liceale che risponde al nome di David Miliband e che in un paese d'incoscenti hanno fatto ministro dell'ambiente dice: "Per combattere il cambiamento climatico vogliamo lavorare con i governi e con il mondo degli affari e dell'industria. Ma bisogna mobilitare la società civile. E per questo la religione e la Chiesa cattolica è essenziale".
Non so se sia una grande idea, una piccola idea oppure non sia proprio un'idea. Certo, in Italia nessuno se l'è fatta venire in mente.
Corriere della sera

Test

Dove si trova la scritta "Se un problema si può risolvere, perché preoccuparsi?"?

a) Cartellone pubblicitario di una ditta di traslochi.

b) Tatuaggio sul braccio di Marco Materazzi.
Vanity Fair

Tuesday, April 24, 2007

Teoria e pratica del doppio laccio californiano

Corsi di wrestling al Mit: da Hulk Hogan a John Cena.
E poi uno prende in giro i corsi strampalati delle università italiane e guarda a quelle americane come a un modello. (Oggi mi sono svegliato un po' nonno)
The Boston Globe

Saturday, April 21, 2007

polsi e caviglie

Dialogo sul prato leggendo La bella addormentata nel bosco

Lui: cosa sono i "polsi"?

Io: beh, questi qui, vedi, dove sono le catene di Filippo.

Lui: mmmmmm.

Io: capito?

Lui: sì, ho capito.

Io: bene.

Lui: i polsi sono le caviglie delle mani.

Wednesday, April 18, 2007

Green Obama

«We don’t just need the first black president. We need the first green president». Milton Friedman sul magazine domenicale del NYT spiega quale dovrebbe essere la nuova frontiera della politica Usa, un'ideologia in grado di mettere d'accordo tutti.
New York Times

Tuesday, April 17, 2007

Chissà che ne avrebbe pensato Bobbio


Discutete pure se Hergé fosse di destra o di sinistra, grande questione sulla quale si lambiccheranno i posteri. A noi basta che ci abbia risolto l'infanzia.

copioincollo l'articolo uscito sabato su TTL de La Stampa per i 100 anni del padre di Tintin, Haddock e Milù.

Tintin di corsa fra destra e sinistra

TOM MCCARTHY
Le origini politiche di Tintin si collocano a destra, per usare un eufemismo. Il Petit Vingtième era un giornale di stretta osservanza cattolica e, come dice Hergé stesso a Numa Sadoul (cfr. Entretiens avec Hergé, Casterman 1983, n.d.r.) a quel tempo «cattolico» significava «antibolscevico». Significava anche antisemita. Il direttore del giornale, l’abate Norbert Wallez, teneva sulla scrivania una fotografia autografata di Mussolini. Molti dei giornalisti che scrivevano per lui avevano legami con il partito belga Rex, più o meno fascista. Questo orientamento politico non solo trovò espressione nei fumetti, ma fu la loro raison d’être. La prima avventura di Tintin è prima di tutto un pezzo di propaganda, che «svela» i mali del comunismo. La seconda, in Congo (che fu pubblicata in forma di libro in francese nel 1931 e, con grande scorno dei liberali europei, conserva un’enorme popolarità in Africa), ritrae gli africani come gente di buon cuore ma arretrata e pigra, bisognosa della dominazione europea. In I sigari del faraone e Il drago blu, entrambi pubblicati a metà degli anni Trenta, i cattivi sono tipici nemici della destra, figure chiave nel grande complotto mondiale del suo immaginario: massoni, finanzieri e, dietro a tutto, appena velato da un nome greco, un Rastapopoulos sfacciatamente semita. La vena destrorsa nell’opera di Hergé raggiunge l’apice quando, nella versione originale di La stella misteriosa, scritta per il giornale al culmine dell’era nazista, inventa un cattivo ebreo (il banchiere newyorkese Blumenstein) e mostra un negoziante di nome Isaac che si frega le mani soddisfatto quando sembra che il mondo stia per finire. Perché? Perché, come spiega al suo amico Solomon: «Devo 50.000 franchi ai miei fornitori, e così non sarò costretto a pagarli». Ma quasi nel momento stesso in cui prende piede, questa tendenza di destra viene affiancata da una controtendenza di sinistra. In Tintin in America, pubblicato in forma di libro nel 1932, Hergé fa una satira pungente della produzione capitalistica di massa e del razzismo americano (alla polizia accorsa dopo una rapina, l’impiegato di banca della cittadina dice: «Sono stati impiccati sette neri, ma il colpevole è fuggito »). In Il drago blu Tintin spezza la canna con cui un petroliere americano percuote un conducente di risciò cinese, esclamando: «Bruto! La vostra condotta è indegna di un uomo!». L’orecchio spezzato, anch’esso della metà degli Anni Trenta, contiene sequenze che, stigmatizzando l’avidità delle multinazionali e il cinismo dei trafficanti d’armi, sono prese di peso dal periodico di sinistra Le Crapouillot, che nel numero del marzo 1932 traccia il profilo del mercante d’armi sir Basil Zaharroff (o, come lo ribattezza Hergé, Bazaroff) e in quello del febbraio 1934 smaschera il ruolo delle grandi imprese nel conflitto Bolivia-Paraguay per lo sfruttamento dei campi petroliferi di Gran Chaco (o, come li ribattezza Hergé, «Gran Chapo»). Se destra e sinistra convivono per un po’, con il tempo la seconda sembra avere la meglio sulla prima, al punto che a metà degli Anni Settanta, in Tintin e i Picaros, l’eroe esibisce sul casco da motociclista il simbolo della campagna per il disarmo nucleare. Come viene ottenuto questo spostamento? Attraverso un complesso insieme di cancellature e rifacimenti che hanno salvato Hergé e la sua opera dal Simùn personale e mondiale che segnò la sua epoca: la seconda guerra mondiale. [...\] Negli Anni Settanta Hergé si era ormai reinventato come liberale di sinistra. Dice a Sadoul: «L’economia governa il mondo; i poteri industriali e finanziari condizionano il nostro modo di vivere. Naturalmente queste persone non portano il cappuccio nelle loro riunioni al vertice, ma il risultato è lo stesso! Produrre è il loro primo obiettivo. Produrre sempre di più. Produrre, anche se per farlo devono inquinare i fiumi, il mare, il cielo; anche se devono distruggere le piante, le foreste, gli animali. Produrre e condizionarci per farci “consumare” sempre di più, sempre più auto, deodoranti, spettacoli, sesso, turismo...». «Anche Tintin è contrario alla società dei consumi?» gli chiede Sadoul. «Assolutamente contrario, naturalmente!» risponde Hergé. «Tintin ha sempre preso le parti degli oppressi.» Non c’è motivo di dubitare che questa nuova presa di posizione sia sincera, anche se bisogna ammettere che nell’ambiente dei media e delle arti degli anni Settanta questa era la collocazione più conveniente, così come la collaborazione era la via più conveniente da seguire durante la guerra. Sia come sia, resta l’interessante paradosso che, malgrado il suo riallineamento politico, Hergé non cambia i suoi cattivi: uomini incappucciati, i congiurati segreti di I sigari del faraone, sono perfetti uomini di paglia per la sua visione di sinistra del mondo così com’erano stati per quella di destra. Fra cancellazioni e riscritture, si ripetono gli stessi schemi. Hergé non ha mai negato il suo spostamento da destra a sinistra, ma quando ne parlava tendeva a «correggerlo », presentandolo piuttosto come una fuga dalla politica verso un’ideologia dell’amicizia. \[...\] Hergé si «corresse» da destra a sinistra, e «corresse» il contrasto stesso fra destra e sinistra in un contrasto fra politica e amicizia. Ma se allarghiamo un po’ il quadro, vedremo che queste sono solo correzioni parziali nell’ambito della struttura generale di un contrasto più ampio: quello fra sacro e profano.\[...\] Il sacro e il politico sono legati insieme fin dall’inizio. In tutta l’opera di Hergé i fenomeni politici sono intrisi di attributi sacri. \[...\] Lo scetticismo che dilaga in Tintin nel paese dei Soviet ne è un buon esempio. \[...\] «I sovietici prendono in giro quei poveretti che credono ancora nel “Paradiso Rosso”» dice Tintin, usando concetti sacri come la fede e il paradiso, «svuotandoli» al tempo stesso di significato: il «paradiso» è falso, la fede malriposta. Anche in Tintin in America \[...\] il sacro è presentato come una truffa: «Mi lasci convertirla alla religione neo-ebreo-buddoislamo-americana, i cui dividendi sono i più alti in the world» dice un attivista a Tintin, agitando un volantino di propaganda. \[...\] Dal fascismo sacro all’amicizia sacra, fino a una versione vuota e profana di entrambi: questa è la via tracciata da Hergé attraverso il ventesimo secolo che si rispecchia nelle avventure di Tintin.

Monday, April 16, 2007

Sembra ieri

E la lacrimuccia scese.

Friday, April 13, 2007

Tim O'Reilly si spiega

"I've come to think the call for a code of conduct was a bit misguided". Qui spiega perché non lo hanno capito.
Wired

Thursday, April 12, 2007

La polizia ristabilisce l'ordine in via Paolo Sarpi

Quel pugno non è di una Black Panther (né di un cinese).
Corriere.it

Monday, April 09, 2007

Give us a clue

Nuove scritte a Genova contro Bagnasco, presidente della Cei. Il Corriere della sera on line ne dà conto con un servizio fotografico al di là del bene e del male.
Guardate la galleria fotografica e scoprite dov'è l'inghippo.

(Le alternative sono due: o sono state la mamma e la bambina con lo spray oppure il fotografo del Corriere aveva bisogno di comparse).
Corriere.it


PS ho visto che c'e' anche su Repubblica.it

Friday, April 06, 2007

La Betta e la Nussbaum

Primo paginone nella cultura per l'intervista della Betta alla Martha. (Si trova pure qui)
Repubblica

Ma quante ne sa

E io che mi aspettavo un commento su Roma-Manchester di Claudio Magris. Lasciato Darwin oggi si diletta con la Legge e la Storia.
L'eclettismo imprevedibile di un intellettuale in cerca di Nobel.
Corriere della sera

Wednesday, April 04, 2007

Sulla schiavitù

Uno dice: ancora me state con la schiavitù, noi ci occupiamo di identità, multiculturalismo, differenze. Poi scopre che nel mondo ancora se ne discute eccome. Sull'ultimo numero di Prospect due articoli: uno qui, e un altro qui. Sul NYT, era uscito qualche settimana fa un articolo di Kwame Anthony Appiah sul tema. (Purtroppo non è disponibile on line).
Prospect, New York Times

Tuesday, April 03, 2007

Altro che Londonistan

«Al-Qaradawi (mufti televisivo inviso agli occidentali ma anche a molti fondmamentalisti, un tipo alla Tariq Ramadan di cui a un paio di post fa, ndr) sta all'islam come Giovanni XXIII sta al cattolicesimo». Una delle tante affermazioni originali ma non sciocche della lunga intervista su Prospect a Ken "il rosso" Livingstone, sindaco di Londra. Si parla anche di Crossrail, periferie, business community. (Qui l'ho sintetizzata a uso dei lettori di Caffe' Europa)
Prospect, Caffe' Europa

Ancora Barthes

Ci siamo appassionati all'idea pre-postmoderna dei Miti d'oggi di cercare una "lingua bianca" sotto alle incrostazioni delle ideologie. Qui anche un'intervista a Paolo Fabbri, semiologo bolognese.


Fare i conti con l'ideologia borghese attraverso il detersivo, le bistecche e il volto di Greta Garbo. Cinquant'anni fa, quando apparvero in forma di volume unico, le Mitologie di Roland Barthes furono al tempo stesso una sorpresa e una sfida per la Francia degli esistenzialisti e che stava per eleggere De Gaulle. Con quel libretto si parlava di una società fatta di automobili, di cinema, di incontri di catch, di Tour de France e di tante altre forme in cui il quotidiano occidentale si esprime. Un catalogo dell'attualità che si inseriva dentro la cultura di massa mostrandone i meccanismi, gli automatismi inconsapevoli che la tenevano in piedi e che l'intellighentzia (marxista e non) metteva tra parentesi preferendo occuparsi di Dialettica, di Storia, di Uomo.

Una carrellata di flash illuminanti del semiologo di Frammenti di un discorso amoroso. Un articolo di “Elle” (il “femminile” delle donne brillanti ed emancipate) è l'occasione per sottolineare quanta strada ci sia da fare per liberare anche le scrittrici di successo dal modello tradizionale che le incasella. Una mostra parigina – “The Family of Man” – mette all'opera il mito della grande famiglia degli uomini e Barthes lo fa a fette: l'idea di un'unica comunità planetaria è una mistificazione alla quale l'umanesimo progressista deve riuscire a sfuggire.
Ancora piccole cose per comprendere il generale. “Mangiare la bistecca al sangue – scrive ancora Barthes – rappresenta una natura e insieme una morale”. C'è un'identità nazionale in una fetta di carne accompagnata dalle frittes. “Come il vino, la bistecca è, in Francia, elemento base, nazionalizzato ancor più che socializzato”. Bassa, alta, cubica, ben cotta (blu), al sangue: un tricolore per la tavola.
Le mitologie di Barthes sono istantanee che aprirono gli occhi di molti sugli effetti della cultura di massa (quasi televisiva) e sulla nascita di un mondo pop fatto di plastica e pubblicità. Attraverso il linguaggio, si rende esplicito (e lo si critica) un senso comune cristallizzato. Una costellazione di miti che, con un lavoro di decostruzione, emergono per quello che sono: segni, segni complessi che parlano di una cultura particolare (quella “piccolo-borghese”) e che la rendono universale.

Nella Premessa al libro, Barthes sintetizza l'obiettivo dei suoi scritti. “Il punto di partenza di questa riflessione era il più delle volte un senso di insofferenza davanti alla ‘naturalità’ di cui incessantemente la stampa, l'arte, il senso comune, rivestono una realtà che per essere quella in cui viviamo non è meno perfettamente storica: in una parola soffrivo di vedere confuse ad ogni occasione, nel racconto della nostra attualità, Natura e Storia”. Vale a dire, rendere relativo quello che ci circonda togliendogli quell'aura di ineluttabilità con cui si presenta.

A mezzo secolo di distanza, “Le Nouvel Observateur” ha chiesto ad alcuni tra i più celebri intellettuali francesi di rinnovare l'operazione barthesiana. Girare lo sguardo intorno, alzare le antenne per cogliere (e soprattutto spiegare) le mitologie attuali. E allora, via lo “squalo” della Citröen e dentro le auto 4x4, niente più bistecca e dentro l'onnipresente sushi, addio Greta Garbo ecco Kate Moss.

Certo, la radicalità dei Miti d'oggi si è un po' persa. Criticare la cultura di massa, o comunque ripensarla, è divenuta attività che solo gli snob possono permettersi.
Poi ci ha pensato pure la globalizzazione ha scombinare le idee. Se Barthes molto spesso si riferiva alla “francesità” dei suoi miti, i suo epigoni contemporanei evocano una mitologia che perlopiù va bene per qualsiasi angolo dell'occidente. Se si escludono i miti più sciovinisti come Zidane e i tailleur di Ségolène Royal, nel catalogo del XXI secolo ci sono i serial tv (come i Sopranos), l'iPod, Google, gli Ogm, i blog e le compagnie low cost, sono il prodotto e gli strumenti dell'Uomo Occidentale. Addirittura, i telegiornali delle 20 sono una forma globale di mitizzazione della realtà (è l'antropologo Marc Augè a parlarne sull'Observatuer). Non c'è differenza tra Parigi e New York, Roma o Berlino: tutti quanti partecipiamo di un grande immaginario condiviso dal quale è molto difficile evadere. Anzi, il mito dei miti, quello che raccoglie proprio la caratteristica di tutti gli altri, è la “delocalizzazione” anima dell'era globale e “premessa a una denazionalizzazione della popolazione” come scrive il filosofo e urbanista Paul Virilio nel suo contributo al dossier.
Caffeeuropa.it

Monday, April 02, 2007

Mistero Ramadan

Letto ora, con colpevole ritardo, il ritratto che Ian Buruma ha dedicato sul New York Times di qualche tempo fa a Tariq Ramadan. Alla fine della fiera (e malgrado il titolo), pure l'olandese non riesce a raccapezzarsi più di tanto nel talento dell'egiziano-svizzero. Che vuole valori universali, ma non sempre liberali, che crede che l'islam sia la strada per arrivare a questi valori, che ha studiato Nietzsche ma che Dio non è manco per niente morto, che aspira a essere il leader dell'islam europeo. E che ci riuscirà.
NYTimes