Wednesday, April 28, 2010

Mantellini, Eco, Pangloss

Io tendenzialmente sarei pure d'accordo con quello che Massimo Mantellini scrive intorno all'ennesima intervista di Umberto Eco a tema Internet e ignoranza.
Quel che mi convince poco però sono le conclusioni alle quali Mantellini arriva.

I libri e i giornali, esattamente come Internet, sono pieni di stupidaggini. Su Internet ce ne sono parecchie in più ma in rete le persone curiose possono educare se stesse a riconoscerle ed evitarle, e possono aiutare gli altri a fare altrettanto. Altrove c’è invece bisogno di un Professor Eco che faccia il lavoro per loro. Se invece il problema è che ci sono poche persone curiose, oppure poche persone colte, Internet è in grado di aiutarle a diventarlo, esattamente come i libri o i quotidiani o il Professor Eco.
Questo varrebbe in un panglossiano migliore dei mondi possibili nel quale ognuno di noi ha tempo illimitato per stare in rete, cultura sterminata che gli permette di discenere le bufale (o anche solo le informazioni inutili) da quello che gli serve e magari è pure fondato. Epperò, il terremoto a Lisbona c'è stato. E i giornali hanno senso, proprio perché la gente ha mediamente quella mezz'oretta, se va bene, per leggerli ogni giorno.

Da secoli svolgono il loro ruolo proprio perché noi deleghiamo a qualche centinaio di persone il compito che noi normali affaccendati in altro non riusciamo a svolgere quotidianamente, ovvero il costruirci una nostra razione di informazioni in autonomia.

«In rete le persone curiose possono educare se stesse a riconoscerle ed evitarle». E' proprio quell'«educare se stessi» il problema. I giornali hanno contribuito a quella educazione. Al contrario, la rete presuppone quell'educazione (o un altro tipo di, ancora da scoprire). La fiducia nei quotidiani tradizionali la paghiamo con l'acquisto e speriamo sia ben riposta fino a quando, e può capitare e capita di frequente, l'accordo non viene tradito dalla bufala di turno.
Ma non è una questione di principio, ma di fatto. La questione di principio è l'altra, ovvero che la rete pressupone persone curiose e competenti, i giornali no e per questo hanno avuto un ruolo fondamentale per la democrazia del XX secolo.

Monday, April 26, 2010

Post 25 aprile

Non è lecito chiamare fratricida la lotta conto chi attenta alla vita e all’onore della Patria. Non è fratello chi rinnega la Madre e le spara addosso... Le Brigate Nere in che periodo sono apparse? Quando altri si squagliavano e noi ci adunammo. Altri dimettevano il distintivo e noi ci rimettemmo la camicia nera. Altri cercavano di farsi dimenticare e noi ci ricordammo. Ci ricordammo delle parole date, delle fedi promesse, dei compagni perduti. Noi ci ricorderemo sempre... Le Brigate Nere sono una famiglia, questa famiglia ha un antenato, lo Squadrismo, un blasone: il sacrificio di sangue, una genitrice: l’Idea fascista, una guida, un esempio.

Giusto il 25 aprile sono arrivato alle ultime pagine del libro di Lorenzo Pavolini. Un corpo a corpo imbarazzato a volte con la figura di un nonno scomodo, fascista fino in fondo, ucciso sul lago e appeso a piazzale Loreto. Un libro ostico, non facile, che di una memoria familiare fa un esempio e che al tempo stesso racconta attraverso una vicenda intima un pezzo di storia italiana che si fa fatica a continuare a ricordare.

Sono nato trent’anni dopo i momenti in cui Alessandro Pavolini scriveva le parole citate qui sopra. In fondo nulla, una generazione, lo stesso periodo che ci distanzia dall’apertura agli stranieri nel campionato di calcio italiano. Sembrano per certi versi parole così lontane, prese in una retorica che che se non fosse tragica sarebbe comica. Eppure, oggi, a molti di noi suonano così familiari e quotidiane. Lette per le strade delle nostre città, sui manifesti di piazza Vittorio o San Giovanni a Roma, ascoltate nelle radio locali o nei cori da stadio. Sempre di più.

Friday, April 23, 2010

Meglio un prefetto

Quello che giovedì sera Sandro Bondi ha detto da Lilli Gruber ha dell'incredibile. Non che chissà che si debba aspettare uno da Bondi, ma che nessuno lì glielo abbia fatto notare fa spavento.
Dice Bondi: «No, nel Pdl non abbiamo fatto il tesseramento perché poi si sa come vanno a finire queste cose». Come a dire, il rischio di inquinamento, di compravendita, di tessere finte è così alto che meglio esimersi da questo esercizio di partecipazione democratica al partito.
Che, come si intuisce, è un gran ragionamento. Si potrebbe, per dire, applicare anche alle elezioni. In quei paesi, in quelle città, in quelle regioni, meglio non svolgere le elezioni, che poi si sa che qualcuno si compra i voti in giro. Meglio sospendere la democrazia e mandarci un prefetto. Almeno per un po'.

Thursday, April 22, 2010

La mia compagna di banco


La mia compagna di banco è una ragazza brava e buona e ci ha 25 anni e si chiama Claudia. Ieri è uscito il suo primo romanzo e qui siamo tutti un po' eccitati. Cioè, in verità la più eccitata è lei. Ma anche noi un po'.
Non è mica un romanzetto così, ma 300 (trecento) pagine con che titolo intorno. Pagine che pare parlino di America e di punk.
Io, se non lo avessi già fatto, me lo comprerei.

Tuesday, April 20, 2010

Baricco filosofo

«Facile che ci abbia cambiato più Bill Gates che Derrida». «Cartesio ha chiarito una volta per tutte cosa vuol dire certezza», «lasciamo alla scienza la pratica della certezza».
Di certo ognuno ha fatto il suo mestiere. Repubblica a pubblicare oggi l’articolo in prima della Cultura, Alessandro Baricco a scrivere un pezzo a partire da un libro di filosofia (l'ultimo di Maurizio Ferraris). Repubblica drena lettori attraverso la firma, Baricco s’impegna a far l’intellettuale esercitandosi su quel che non conosce (l’intellettuale, in fondo, fa un po’ questo). Tutto bene, e l’articolo è pure godibile.

Epperò, e senza che questa sia una critica (ripetiamolo, i giornali sono quello che sono e funzionano così, devono vendere), qualcosa da dire nel merito di quello che ha scritto Baricco c’è.

«Cosa stanno facendo per noi i filosofi?» scrivono le maniche arrotolate più famose dopo quelle di Gianni Riotta. E già questo potrebbe essere discusso a lungo. L’idea che la filosofia debba servire a qualcosa nello stesso modo in cui servono l’idraulico, la medicina o una mappa stradale, è tutt’altro che pacifica. «Si finisce – prosegue Baricco – per immaginare i filosofi come sapienti risucchiati da un qualche loro raffinatissimo dibattito tecnico». Argomento non senza fondamento, ma neanche originalissimo. Come se gli studiosi di letteratura o di biologia, non si incontrassero in convegni per addetti ai lavori.

Uno dei più importanti filosofi italiani, sosteneva nelle sue magnifiche lezioni milanesi, che il filosofo ha più o meno lo stesso statuto nella società che aveva il monaco durante il medioevo.

Per non notare poi, che proprio in questi anni i filosofi hanno guadagnato spazio e riconoscimento nella discussione pubblica come non avevano mai avuto in precedenza.

Andiamo avanti. Dopo aver esordito criticando l’eccesso di specialismo e di tecnicismo degli attuali pensatori, si rivolge a rimpiangere il passato. Aristotele, Cartesio, Kant, quelli sì che erano pensatori in grado di «disincagliare le coscienze». E chi può dubitarlo? Tuttavia, come pensare a questi personaggi come a filosofi che utilizzavano il loro sapere dentro la società? A parte che non esisteva o quasi il luogo pubblico dove discutere idee, ma nessuno di quei tre può essere considerato un intellettuale, perché i filosofi non sono intellettuali.

Se l’accusa alla filosofia odierna è quella di particolarismo e chiusura, certo non ci si può appellare a un Kant per vedere ribaltati quei limiti. Tutto è stato il filosofo tedesco tranne che un intellettuale che si spendeva a che i suoi pensieri avessero un impatto nella società prussiana di fine Settecento.

Wednesday, April 14, 2010

I feed di Reset

Tutto quello che ci piace: ogni giorno articoli, discussioni, segnalazioni dalla stampa di tutto il mondo. Da ieri, sul blog di Caffe' Europa.

Friday, April 09, 2010

La storia e i frullatori in cima alla montagna

Luca De Biase ha scritto qualche post intorno a un convegno di storia che si svolge in questi giorni a Torino. Ho l'impressione di non essere molto d'accordo con quel che scrive. Non sono d'accordo neanche con l'articolo di Bruce Sterling (il pdf lo trovate qui) che Luca ha scelto per la prima pagina di Nova24.

E' singolare che Sterling ci tenga a sottolineare che «noi non possiamo creare documenti fatti apposta per tramandare tutti i fatti relativi a noi». Innanzitutto perché i documenti storici non esistono in sé: una lapide funeraria romana o un piatto etrusco non lo sono. Oltre a ciò, che è abbastanza intuitivo, la questione sta in quel «tutti i fatti relativi a noi». I «fatti» e «noi» fanno molto più problema di come la mette Sterling. Che l'evento storico (la crocifissione di Cristo, i 300 delle Termopoli, per non parlare poi della quotidianità del passato) sia storia è ovviamente un fatto che «decide» lo storico preso in un contesto particolare che è quello della sua epoca, della sua società ecc. E' una decisione presa sulla base di interessi particolari e contingenti.

«Gli antichi Egizi crearono diversi obelischi (...) che rappresentavano una documentazione sull'Egitto» scrive ancora Sterling che così immagina una situazione che non c'è, come se lui (o lo storico) potessero essere lì presenti quando gli antichi erigevano i loro obelischi prendendone in presa diretta il senso autentico di testimonianza dell'Egitto. A Sterling bisognerebbe dire che tutto sta a intendersi per chi la «rappresentano» una documentazione e a qual fine. Soprattutto, la cosa interessante è il senso che le varie civiltà, di volta in volta, hanno attribuito agli obelischi e non tanto l'ambizione di recuperare quella testimonianza che è impossibile e inutile.

Sul finire dell'articolo, Sterling dice qualcosa che ci piace di più: «Gli storici esamineranno le prove che lasciamo loro in modo diverso da come noi le esaminiamo oggi». A parte il fatto che noi non lasciamo prove per i posteri, la consapevolezza della relatività delle prove qui affermata da Sterling è un'affermazione positiva da mettere agli atti. E tuttavia contraddice proprio tutto quello che ha appena scritto. Se le guarderanno in modo diverso, anzi, diremmo noi, se sceglieranno loro quali saranno prove e testimonianze della nostra civiltà, che senso rimane ad affermazioni tipo quella tautologica per cui «gli storici non sono interessati alla quantità dei documenti ma alla loro rilevanza storica»?

Capisco, andrebbe tutto argomentato molto meglio, epperò la posizione di Sterling mi ricorda quell'amico di famiglia che tanti anni fa, prima di una coscienza ambientalista diffusa, lasciava in cima ai monti che raggiungeva dopo faticose arrampicate dei piccoli elettrodomestici (frullatori, phon, coltelli elettrici ecc.) per lasciare traccia della nostra civiltà ai posteri o agli alieni.

PS
E la risposta di Luca De Biase.

Thursday, April 01, 2010

Elisabeth Noelle-Neumann

Qualche giorno fa è morta Elisabeth Noelle-Neumann una delle più importanti studiose di mass media nel XX secolo. Tra l'altro, ha elaborato questo modellino qui a sinistra, la cosiddetta «spirale del silenzio». L'idea di fondo della Noelle-Neumann è che di fronte a un'opinione pubblica contraria è molto difficile per un individuo sostenere posizioni devianti rispetto alla massa. Tanto difficile che alla fine tale individuo si riduce spesso al silenzio.