Wednesday, December 22, 2010

Mini-etica di un piccolo calvinista del XXI secolo

Se ne sta lì, col suo grembiule abbottonato zoppo e senza denti, aspettando il suo turno. Le maestre hanno chiesto a ogni bambino di scrivere due parole sullo "spirito natalizio", su quale fosse il significato di questa festa fatta di regali e poco altro. Ed eccoli che uno alla volta percorrono quei pochi passi dal banco all'albero dove penzolano tutti quelle massime di saggezza perugina. C'è chi chiede che non scoppi la Terza guerra mondiale e chi vuol far sparire la fame nel mondo, chi vuole regali per i poveri e chi vuol proprio far sparire i poveri. C'è la riccetta che vuole far tornare la povera nonna da quel brutto posto che è la morte.
Poi arriva lui. E la biografia dello scoglionamento esplode: «Io spero, ehm, io vorrei che chi lavora molto ottenga dei risultati adeguati».

Tuesday, December 14, 2010

Il finanziere ubiquo

EDIT: e invece era semplicemente scemo.

Da una parte
















E dall'altra

Thursday, November 25, 2010

Se i giornali si trasformano in community, la militanza vince


Sul numero 122 di Reset (in edicola da oggi) ho scritto un pezzetto sulla polarizzazione dei quotidiani per cui i lettori divengono militanti e fan.
Nel dossier anche cose di De Biase, Ferrigolo, Granieri, Sofri, Zambardino.

Questo l'inizio del mio articolo.

Perché centinaia di persone si danno appuntamento ogni giovedì pomeriggio su Facebook per “laicare” o commentare l'anteprima della copertina del settimanale «Internazionale»? Perché migliaia di ragazze e ragazzi mandano foto molto glam con post-it attaccati in fronte o sulla bocca a «Repubblica.it»? Perché «il Post», il giornale on line diretto da Luca Sofri, riesce a drenare quasi mille commenti in una discussione su Fini? E il successo del «Fatto Quotidiano»?

Pensiamoci un attimo. Ricordate i militanti del vecchio Pci che la domenica e nelle manifestazioni diffondevano «l'Unità» per puro spirito di appartenenza, perché si sentivano parte di un progetto politico e culturale di cui il giornale era uno strumento? Ecco, la risposta alle domande iniziali sta nel mettere insieme un ricordo in bianco e nero con i nostri clic di oggi. Nell'epoca in cui le piazze sono anche i social network, i nuovi militanti diffondono con gli strumenti della rete: like, condivisione, commenti.


L'articolo completo qui.

Monday, November 15, 2010

Qualche appunto sulla questione primarie


Mi appunto qui qualche idea sulla questione primarie.

- C'è un grosso non detto (o almeno non visto da me) sulla questione delle primarie: una cosa è scegliere un candidato per elezioni con il doppio turno, come quelle per il sindaco, e una cosa è scegliere il candidato premier nell'ambito delle elezioni politiche, dunque a turno unico. Non si capisce perché nessuno noti che un Pisapia o un Vendola per varie ragioni non avrebbero possibilità sul piano nazionale ma su quello locale sì. E in virtù non solo della loro identità ma anche del diverso sistema elettorale.

- Un partito che non riesce ad avere passione e militanza (il PD) si sta avvitando su di un sistema, le primarie, che presuppone proprio la militanza e la partecipazione. Alle primarie vince, se sono primarie libere, il candidato con un'indentita' piu' forte ovvero colui che riesce a mobilitare un suo popolo di riferimento. Vendola in Puglia e ora Pisapia a Milano (ma ci sono molti casi in giro per l'Italia) ne sono un esempio. Quale militanza può mai sollecitare un rispettabilissimo professionista come Stefano Boeri? Che coinvolgimento può attivare in un piccolo popolo come la sinistra moderata milanese?

- Proprio per questa ragione - ovvero, nelle primarie viene premiato il candidato che suscita la militanza e non il candidato con più chance (e non è il caso di Milano dove forse Pisapia ha qualche possibilità in più rispetto a Boeri) - non si capisce perché ci sia in molti questo cieco entusiasmo per un meccanismo che ha dimostrato in molti casi di funzionare poco e male.

Wednesday, November 03, 2010

Quello che Obama ha fatto finora

Piccolo riassuntino. Da qui.


Many of Obama’s critics go so far as to deny that he has accomplished anything of significance. He has in fact accomplished a great deal during the first year of his presidency, achievements comparable to those of Roosevelt and Johnson during the early years of their presidencies. Here is a list of what he has done on the domestic front, as itemized by Nathan Newman in TPMCafé on November 20, 2009.

# Three major health bills (State Children’s Health Insurance Plan; tobacco regulation; and stimulus funds for Medicaid, COBRA subsidies, health information technology, and the National Institutes of Health) enacted even before comprehensive reform(132-3)

# Comprehensive health care reform(132-3)

# A stimulus package that prevented a depression, delivered key new funds for education, expanded state energy conservation programs and new transit programs, added new smart grid investments, funded high-speed Internet broadband programs, extended unemployment insurance for up to ninety-nine weeks for the unemployed and modernized state unemployment insurance programs to cover more of the unemployed, made large new investments in the safety net, from food stamps (SNAP) to affordable housing to child care(132-3)

# Clean cars to take gas mileage requirements to thirty-five mpg(132-3)

# Protection of two million acres of land against oil and gas drilling(132-3)

# Executive orders protecting labor rights, from project labor agreements to protecting rights of contractor employees on federal jobs(132-3)

# Stopping pay discrimination through the Lilly Ledbetter and equal pay laws(132-3)

# Making it easier for airline and railway workers to unionize, while appointing National Labor Relations Board and other labor officials who will strengthen freedom to form unions(132-3)

# Reversing the Bush ban on funding overseas family planning clinics(132-3)

# Passing hate crimes protections for gays and lesbians(132-3)

# Protecting stem cell research(132-3)

# Financial reforms to protect homeowners and credit card holders(132-3)

# Bailing out the auto industry and protecting unionized retirees and workers(132-3)

Saturday, October 30, 2010

Ti spiezzo in due

Monday, October 25, 2010

La scuola che vuole la Lega (ma non solo)

A Udine il presidente, leghista, della Provincia sotiene che “Le persone disabili ritardano lo svolgimento dei programmi scolastici” e che “è inutile che alle superiori seguano lezioni di filosofia, economia o diritto. Meglio far fare loro dei corsi che li introducano al mondo del lavoro”.
Un breve pensiero su quale idea della scuola si stia diffondendo in Italia.

le scuole italiane fin da quelle elementari sono divenute spesso il luogo della competizione più che dell'inclusione. Non sono solo i diversi, gli immigrati o disabili, a poter essere penalizzati, ma tutti coloro che in un modo o nell'altro non si adeguano agli standard richiesti. Si inizia a diffondere l'idea che non è più la scuola a poter dare una mano (“sa, i tagli non lo permettono”) e che il bambino e la famiglia con qualche problema devono arrangiarsi da soli.

L'ossessione del programma da rispettare, dall'acquisizione delle competenze fin da subito e il più veloce possibile, la condanna del bambino “lento”, di quello “pigro”, certificano una trasformazione in corso di cui quest'ultimo exploit è solo il fuoco d'artificio finale. L'obiettivo delle maestre è spesso far apprendere più competenze possibile fin da subito e chi non ce la fa, riponde il Fontanini di turno, “ci spiace ma vada nei corsi per i più lenti”.

Wednesday, October 20, 2010

Il multiculturalismo, la Merkel e gli strani numeri del Corriere della sera

Il giornale di via Solferino non è stato mai tenero verso gli slanci in avanti e con i modelli d'integrazione che auspicano uno spazio nelle nostre società anche per le minoranze come quelle islamiche (rileggere gli articoli di Magdi Allam e Giovanni Sartori per averne un'idea). E tuttavia fa bene a tornare sul tema e a porre una questione che in Italia è affrontata solo, o quasi, in termini propagandistici o ideologici: “Burqa sì o burqa no” oppure “Non ci fanno fare le chiese al paese loro e noi non gli facciamo fare le moschee” ecc.

Quel che sorprende è che il quotidiano presenti il tutto con dati che non spiegano molto e che anzi andrebbero spiegati per bene, ché altrimenti sembrano proprio sbagliati.
Qui il resto.

Friday, October 08, 2010

Rock e carcere

Tutti i mercoledì, alle 20 sulle frequenze di Radio Popolare Roma (103.3 fm) va in onda JAILHOUSE ROCK ovvero suoni, suonatori e suonati dal mondo delle prigioni. Si parla di carcere e di rock. “Un orologio digitale Timex rotto, un profilattico non usato, uno usato, un paio di scarpe nere”. È l’inizio dell’elenco degli oggetti che la guardia riconsegna a John Belushi prima di metterlo in libertà all’inizio del film The Blues Brothers. Alla fine l’intera band sarà di nuovo dentro a cantare Jailhouse rock, dopo aver trionfato nella propria missione per conto di Dio.
Da Johnny Cash a James Brown, da Leadbelly ai Sex Pistols, da Vìctor Jara ai fratelli Righeira: suoni e suonatori, racconti di storie che in un modo o in un altro attraversano le prigioni. Il carcere di ieri e il carcere di oggi, dove capita ancora che qualcuno venga suonato. Conducono la trasmissione Patrizio Gonnella e Susanna Marietti (presidente e coordinatrice di Antigone). Inviato speciale da Rebibbia il direttore del carcere Carmelo Cantone.
I due conduttori sono miei carissimi amici, nonché molto bravi ovunque mettano le mani, quindi vi segnalo questo. (Anche il sito casalingo merita).

Sunday, September 19, 2010

Baricco ha scoperto Nietzsche


Il concetto di profondità, la pratica della profondità, la passione per la profondità. (…) Li alimentava [ai Barbari contemporanei] l'ostinata convinzione che il senso delle cose fosse collocato in una cella segreta.
Come se non fossero passati duemilaecinquecento anni dalla Repubblica, dalla caverna, dalle idee; come se non fosse passata una storia lunghissima di dualismi, una onto-teologia millenaria; il noumeno e il velo di Maya; come se non fossimo nel XXI secolo e non fosse passato il XX nel quale già viveva la massima nicciana per cui non c'era più né alto né basso e proprio il baffuto non avesse smontato l'idea della profondità già alla fine del secolo precedente; come se il postmoderno e l'ermeneutica dovessero ancora arrivare, Baricco in un articoletto sulla rivista Wired scopre la superficie.

Scopre che il senso delle cose non è dietro le cose (chissà cosa vorrà dire, poi). Con un'ingenuità che non so giudicare, infila una serie di rimasticature (rileggere Genealogia della morale e Verità e menzogna in senso extramorale) per giungere alla verità abbacinante:
[Nel 2006, già perché Baricco ha scritto questo articolo nel 2026 per dare profondità storica alla sua intuizione] quello che stava accadendo, tra mille difficoltà e incertezze, era che, abolita la profondità, il senso si stava spostando ad abitare la superficie delle evidenze e delle cose.
Tralasciando il fatto che la transizione si stia realizzando (tutta la questione ratzingeriana sul relativismo, cos'è?), tralasciando che una cosa sono le evidenze, evidenti per qualcuno e un'altra sono le cose, verrebbe da chiedere a Baricco in che senso il senso si stava spostando sulle cose. Le cose senza che il senso ci si sposti sopra, che senso hanno? Ce l'hanno un senso?

Ovviamente, Baricco non risponde a queste domande né spiega cos'è che ha determinato il cambiamento epocale e la scoperta del profondo nella superficie.

Nella seconda metà del suo articolo, mette insieme questa riscoperta della superficie con tutte le disfunzioni cognitive che i media elettrici (come li avrebbe chiamati McLuhan ma senza moralismo) producono nel sapere e nell'attitudine al sapere. Baricco ripercorre al volo tutti i discorsi (vedi il più noto di Nicholas Carr, che però non viene citato) sulla disattenzione ecc. preoccupazioni che sono in cammino almeno dalla mia infanzia davanti alla televisione.

È difficile comprendere il senso (sì, il senso) di questa operazione. Un brillante divulgatore di libri in tv e scrittore meno appassionante, scrive un articolo su un mensile di costume tecnologico per dire cose che un qualsiasi studente universitario sa meglio e in maniera più circostanziata. Un anziano ex direttore di giornale aspirante filosofo gli risponde. La rete prende addirittura sul serio il tutto.
Scegliamo sempre la velocità a discapito dell'approfondimento.
Scrive Baricco. Ecco, abbiamo capito il senso.

Saturday, September 18, 2010

With blacks as a priority

Imagine a government ordering that lawbreakers be rounded up "with blacks as a priority".

The Economist, 16 settembre 2010

Wednesday, September 15, 2010

La Nussbaum e la Carfagna

Una filosofa risponde (virtualmente) a chi vorrebbe vietare il velo integrale nel nostro paese.

C'è chi, punto per punto, smonta le ragioni del divieto di indossare il velo in un paese occidentale. In un lungo articolo uscito sul New York Times, Martha Nussbaum solleva alcune obiezioni alla legittimità del divieto in democrazie come le nostre.

Tuesday, September 14, 2010

Quel cappello


Me lo ricordo bene nella tv in bianco e nero quel cappello lucido e quegli spari nel Parlamento spagnolo. Prossima lettura il libro di Javier Cercas sul tentato golpe di Tejero del febbraio 1981.
(Un post per quella foto che ha un fascino senza tempo).

Friday, August 20, 2010

Non se ne può più di destini incrociati


Come molti, a sedici anni (che poi erano gli anni ottanta, ed era forse giusto così) ho subito per un po’ la fascinazione della scrittura sperimentale che mischia racconto e meta, che il protagonista è lo scrittore, che a volte parla con l’autore e storia e meta-storia s’intrecciano. Insomma, tutto quello che era uscito da certi anni settanta e aveva trovato in parte patria nei primi eighties. Leggere quel certo Calvino e poi la versione carta da zucchero dei Fiori blu di Queanau e Borges (certo Borges) ci faceva sentire così smart e intelligenti che addirittura ci facevamo regalare i Meridiani a Natale e le stampe di Escher.

Poi la malattia sembrava passata, quando è apparsa la Trilogia di New York di Auster. Epperò è bastato solo il primo romanzo per vedere che l’incanto era finito, che il protagonista col nome dello scrittore non è chissà poi che grande idea e che forse io alla letteratura avrei chiesto anche altro oltre alla condivisione di una certa arguzia.

Nel 2010, avrei creduto che quell’epoca fosse tramontata. E invece pare che il virus circoli ancora. No, non sto pensando al masturbatorio Houellebecq, criticato su Repubblica ieri da Ben Jelloun. No, penso all’unica lettura da mare fatta finora. L’ultimo libro di Jonathan Coe non è niente male come intrattenimento agostano. Peccato per le ultime tre/quattro pagine nelle quali esce quel sapor di trent’anni fa, come una pennetta alla vodka, però rancida.

Thursday, July 29, 2010

Moviole in campo e Ludwig Wittgenstein

Anni fa (c'era ancora Biscardi), per una bella rivista di pallone, scrissi questo pezzetto sull'impossibilità teorica della moviola come strumento per decidere definitivamente le questioni che sorgono sui campi di calcio. Sul tema, oggi Repubblica ci fa un Diario.

La questione è seria, soprattutto per Biscardi. Già, perché la questione in questione è da qualche anno il Kulturkampf del rosso di Larino. Stiamo parlando della moviola a bordo campo, la panacea che dovrebbe eliminare
per sempre il male che affligge il gioco del calcio nel XXI secolo: gli errori degli arbitri. Un grande occhio che vigila su quelli fallibili delle giacchette nere e la possibilità di vedere e rivedere in tempo reale un’azione dubbia per sciogliere ogni dubbio.
Era fuorigioco o no? Il centravanti s’è buttato? Dentro o fuori l’area? Mano? Volontario o casuale?

La tecnologia riempirebbe il buco della finitezza umana, così vuole la vox populi del Processo. Quasi quell’occhio fosse quello di Dio che from nowhere, come dice bene Thomas Nagel, vigila sulle cose calcistiche. Eppure, tra la moviola e il campo c’è un ostacolo grosso così.
Il problema è serio perché contro la moviola in campo c’è un argomento più solido, più rigoroso di quelli dei romanticoni, del calcio dal volto umano, delle maglie di lana e senza sponsor, dei giocatori con la brillantina Linetti e la retina per tenere i capelli. Certo hanno ragione pure loro che sostengono che un eccesso di tecnologia farebbe perdere quell’ultimo briciolo di fascino al gioco del pallone.
Ma non è una questione solo estetica, di poesia.

Il fatto vero è uno: che la moviola in campo non funziona per una ragione, per così dire, filosofica, o meglio, ermeneutica. Un argomento proposto da uno dei più importanti filosofi del XX secolo, Ludwig Wittgenstein. È un corollario della famosa questione del «seguire una regola» esposta nelle Ricerche filosofiche, l’opera più nota insieme al Tractatus del genio austriaco. Le Ricerche furono pubblicate postume nel 1951 e sono una raccolta di paragrafi più o meno lunghi («una raccolta di schizzi paesistici», la definisce Wttgenstein) su di una costellazione di temi distinti ma imparentati. Tra i luoghi principali ci sono qualche decina di pagine nelle quali Wittgenstein
affonda la lama in uno dei temi classici della tradizione filosofica per farne piazza pulita. Il platonismo, il realismo vanno a farsi benedire, non servono a spiegare perché le parole hanno un senso e come facciamo noi a comprenderlo.

«Seguire una regola è una prassi» e questo basti. «Quando incontra la roccia», scrive altrove Wittgenstein, «la vanga si piega», è inutile chiedere oltre. Non ha senso cercare di dire con nuove parole il significato, sempre di parole si tratterà, sempre con i segni avremo a che fare. La cosa, la regola in sé rimarrà
ancora nascosta. E lo stesso discorso vale per la moviola.

La questione in sintesi è: la regola non è in un altrove distante, il linguaggio non è uno strumento da perfezionare sempre più (magari tecnologicamente) per inquadrare finalmente il mondo delle regole e dei significati. Non esisterà nessuna riscrittura, spiegazione, interpretazione (come scrive Wittgenstein) a rendere più precipuo, più comprensibile il segno. Certo, di fatto si può dare - e
si dà spessissimo - che una nuova spiegazione aiuti a comprendere qualcosa che prima non si era afferrato. Ma solo perché quel significato c’era già prima, perché l’espressione della regola era in qualche modo già compresa.

Allo stesso modo, è inutile credere che la ripetizione dell’azione incriminata alla moviola possa in sé dirimere la questione. Che cento telecamere distribuite intorno al campo possano chiarire se il rigore c’era, se il guardalinee ha fatto bene a sbandierare il fuorigioco oppure se quello sgambetto era volontario. Un’immagine, come quelle della moviola, non sarà mai autoesplicativa e trasparente, il Deus ex machina che risolve definitivamente il dubbio. Come ogni segno, anche la moviola ha bisogno della nostra familiarità per comprendere se il fallo c’era, se era volontario o meno.

Di per sé dice poco o nulla, come d’altro canto dimostrano le interminabili discussioni attorno ai replay nei salotti della domenica sera.
Certo, può essere utile e a volte funzionale tenere un monitor lungo la linea dell’out, con un quinto uomo a vigilare sull’operato del primo, del secondo, del terzo e, perché no, del quarto. Tuttavia, quelle sequenze rallentate non saranno mai decisive in assoluto. Le immagini della moviola da sole non possono certificare un bel nulla e in fin dei conti oltre l’arbitrio dell’arbitro (o di chi per lui) non c’è modo di andare.

Certo, si potrà dire, è solo una questione de jure e non de facto.
Qualcuno può dire: il fallo di mani di Zauri in Lazio-Fiorentina di poche settimane fa è un caso lampante di come la moviola possa aiutare. Ma veramente serviva la moviola a scegliere? Non bastavano arbitro e assistenti un po’ più attenti? Qual è la morale di questo frullato di Biscardi e Wittgenstein? Che neanche la più perfetta riscrittura tecnologica di una partita
potrà mai risolvere in maniera definitiva e assoluta la questione dell’applicazione corretta di una regola. Nella società dell’immagine, la moviola in campo è solo una scusa ulteriore per sottrarsi alla fallibilità umana, all’inesplicabilità teoretica del seguire una regola.
Per giocare una partita di pallone, come per vivere, ci vuole il coraggio di sfidare l’inevitabilità dell’errore. Anche quello degli arbitri.

Monday, July 19, 2010

Malcelato disprezzo

Ho scritto questo perché trovo che qui ci sia un misto non troppo malcelato di compassione e disprezzo nei confronti delle donne velate mascherato però da Illuminismo, laicità ecc. Ecco, un misto insopportabile.

Tuesday, June 29, 2010

Lampedusa-Ceuta-Lesbo

Monday, June 14, 2010

"Francesca Schiavone è un cesso" (cit.)

Su Avoicomunicare, intervista a Lorella Zanardo su come le atlete debbano essere sexy e i maschi no nell'epoca di Buona Domenica.

Tuesday, June 01, 2010

A futura memoria

Thursday, May 13, 2010

Reset 119 e nuovo sito

Il nuovo numero di Reset e qui finalmente il nuovo sito.

Thursday, May 06, 2010

Kindle è conservatore

Stamattina ho comprato il mio primo libro per il Kindle e il mio secondo giornale. E ho messo a fuoco un paio di cose.

  • Il giornale è un’altra cosa. Molto meno da guardare. E forse questo è un bene, in fondo lo leggi molto di più, sei costretto quasi a sfogliarlo tutto. Per dire, oggi mi sono letto le lettere dei lettori sulla Stampa.
  • Per i libri va fatta una distinzione. Ho l’impressione che Kindle sia pensato per leggere i romanzi, insomma, per libri che si leggono dall’inizio alla fine. Per i saggi il comportamento è diverso, uno può essere interessato a leggersi solo qualche pagina, poi saltare a un’altra pagina in un altro capitolo, poi guardare le note (un incubo!). E Kindle non funziona un gran ché.
Morale? Insomma, è pensato per i libri che si leggono e non per i libri che si usano. Kindle è uno strumento per vecchi, non per nativi digitali. Non che questo sia un male ma non spacciamolo per il nuovo che avanza. È il vecchio che prova a salvare la pelle.

Monday, May 03, 2010

L'unica Lazio che ci piace


AD 1991

Wednesday, April 28, 2010

Mantellini, Eco, Pangloss

Io tendenzialmente sarei pure d'accordo con quello che Massimo Mantellini scrive intorno all'ennesima intervista di Umberto Eco a tema Internet e ignoranza.
Quel che mi convince poco però sono le conclusioni alle quali Mantellini arriva.

I libri e i giornali, esattamente come Internet, sono pieni di stupidaggini. Su Internet ce ne sono parecchie in più ma in rete le persone curiose possono educare se stesse a riconoscerle ed evitarle, e possono aiutare gli altri a fare altrettanto. Altrove c’è invece bisogno di un Professor Eco che faccia il lavoro per loro. Se invece il problema è che ci sono poche persone curiose, oppure poche persone colte, Internet è in grado di aiutarle a diventarlo, esattamente come i libri o i quotidiani o il Professor Eco.
Questo varrebbe in un panglossiano migliore dei mondi possibili nel quale ognuno di noi ha tempo illimitato per stare in rete, cultura sterminata che gli permette di discenere le bufale (o anche solo le informazioni inutili) da quello che gli serve e magari è pure fondato. Epperò, il terremoto a Lisbona c'è stato. E i giornali hanno senso, proprio perché la gente ha mediamente quella mezz'oretta, se va bene, per leggerli ogni giorno.

Da secoli svolgono il loro ruolo proprio perché noi deleghiamo a qualche centinaio di persone il compito che noi normali affaccendati in altro non riusciamo a svolgere quotidianamente, ovvero il costruirci una nostra razione di informazioni in autonomia.

«In rete le persone curiose possono educare se stesse a riconoscerle ed evitarle». E' proprio quell'«educare se stessi» il problema. I giornali hanno contribuito a quella educazione. Al contrario, la rete presuppone quell'educazione (o un altro tipo di, ancora da scoprire). La fiducia nei quotidiani tradizionali la paghiamo con l'acquisto e speriamo sia ben riposta fino a quando, e può capitare e capita di frequente, l'accordo non viene tradito dalla bufala di turno.
Ma non è una questione di principio, ma di fatto. La questione di principio è l'altra, ovvero che la rete pressupone persone curiose e competenti, i giornali no e per questo hanno avuto un ruolo fondamentale per la democrazia del XX secolo.

Monday, April 26, 2010

Post 25 aprile

Non è lecito chiamare fratricida la lotta conto chi attenta alla vita e all’onore della Patria. Non è fratello chi rinnega la Madre e le spara addosso... Le Brigate Nere in che periodo sono apparse? Quando altri si squagliavano e noi ci adunammo. Altri dimettevano il distintivo e noi ci rimettemmo la camicia nera. Altri cercavano di farsi dimenticare e noi ci ricordammo. Ci ricordammo delle parole date, delle fedi promesse, dei compagni perduti. Noi ci ricorderemo sempre... Le Brigate Nere sono una famiglia, questa famiglia ha un antenato, lo Squadrismo, un blasone: il sacrificio di sangue, una genitrice: l’Idea fascista, una guida, un esempio.

Giusto il 25 aprile sono arrivato alle ultime pagine del libro di Lorenzo Pavolini. Un corpo a corpo imbarazzato a volte con la figura di un nonno scomodo, fascista fino in fondo, ucciso sul lago e appeso a piazzale Loreto. Un libro ostico, non facile, che di una memoria familiare fa un esempio e che al tempo stesso racconta attraverso una vicenda intima un pezzo di storia italiana che si fa fatica a continuare a ricordare.

Sono nato trent’anni dopo i momenti in cui Alessandro Pavolini scriveva le parole citate qui sopra. In fondo nulla, una generazione, lo stesso periodo che ci distanzia dall’apertura agli stranieri nel campionato di calcio italiano. Sembrano per certi versi parole così lontane, prese in una retorica che che se non fosse tragica sarebbe comica. Eppure, oggi, a molti di noi suonano così familiari e quotidiane. Lette per le strade delle nostre città, sui manifesti di piazza Vittorio o San Giovanni a Roma, ascoltate nelle radio locali o nei cori da stadio. Sempre di più.

Friday, April 23, 2010

Meglio un prefetto

Quello che giovedì sera Sandro Bondi ha detto da Lilli Gruber ha dell'incredibile. Non che chissà che si debba aspettare uno da Bondi, ma che nessuno lì glielo abbia fatto notare fa spavento.
Dice Bondi: «No, nel Pdl non abbiamo fatto il tesseramento perché poi si sa come vanno a finire queste cose». Come a dire, il rischio di inquinamento, di compravendita, di tessere finte è così alto che meglio esimersi da questo esercizio di partecipazione democratica al partito.
Che, come si intuisce, è un gran ragionamento. Si potrebbe, per dire, applicare anche alle elezioni. In quei paesi, in quelle città, in quelle regioni, meglio non svolgere le elezioni, che poi si sa che qualcuno si compra i voti in giro. Meglio sospendere la democrazia e mandarci un prefetto. Almeno per un po'.

Thursday, April 22, 2010

La mia compagna di banco


La mia compagna di banco è una ragazza brava e buona e ci ha 25 anni e si chiama Claudia. Ieri è uscito il suo primo romanzo e qui siamo tutti un po' eccitati. Cioè, in verità la più eccitata è lei. Ma anche noi un po'.
Non è mica un romanzetto così, ma 300 (trecento) pagine con che titolo intorno. Pagine che pare parlino di America e di punk.
Io, se non lo avessi già fatto, me lo comprerei.

Tuesday, April 20, 2010

Baricco filosofo

«Facile che ci abbia cambiato più Bill Gates che Derrida». «Cartesio ha chiarito una volta per tutte cosa vuol dire certezza», «lasciamo alla scienza la pratica della certezza».
Di certo ognuno ha fatto il suo mestiere. Repubblica a pubblicare oggi l’articolo in prima della Cultura, Alessandro Baricco a scrivere un pezzo a partire da un libro di filosofia (l'ultimo di Maurizio Ferraris). Repubblica drena lettori attraverso la firma, Baricco s’impegna a far l’intellettuale esercitandosi su quel che non conosce (l’intellettuale, in fondo, fa un po’ questo). Tutto bene, e l’articolo è pure godibile.

Epperò, e senza che questa sia una critica (ripetiamolo, i giornali sono quello che sono e funzionano così, devono vendere), qualcosa da dire nel merito di quello che ha scritto Baricco c’è.

«Cosa stanno facendo per noi i filosofi?» scrivono le maniche arrotolate più famose dopo quelle di Gianni Riotta. E già questo potrebbe essere discusso a lungo. L’idea che la filosofia debba servire a qualcosa nello stesso modo in cui servono l’idraulico, la medicina o una mappa stradale, è tutt’altro che pacifica. «Si finisce – prosegue Baricco – per immaginare i filosofi come sapienti risucchiati da un qualche loro raffinatissimo dibattito tecnico». Argomento non senza fondamento, ma neanche originalissimo. Come se gli studiosi di letteratura o di biologia, non si incontrassero in convegni per addetti ai lavori.

Uno dei più importanti filosofi italiani, sosteneva nelle sue magnifiche lezioni milanesi, che il filosofo ha più o meno lo stesso statuto nella società che aveva il monaco durante il medioevo.

Per non notare poi, che proprio in questi anni i filosofi hanno guadagnato spazio e riconoscimento nella discussione pubblica come non avevano mai avuto in precedenza.

Andiamo avanti. Dopo aver esordito criticando l’eccesso di specialismo e di tecnicismo degli attuali pensatori, si rivolge a rimpiangere il passato. Aristotele, Cartesio, Kant, quelli sì che erano pensatori in grado di «disincagliare le coscienze». E chi può dubitarlo? Tuttavia, come pensare a questi personaggi come a filosofi che utilizzavano il loro sapere dentro la società? A parte che non esisteva o quasi il luogo pubblico dove discutere idee, ma nessuno di quei tre può essere considerato un intellettuale, perché i filosofi non sono intellettuali.

Se l’accusa alla filosofia odierna è quella di particolarismo e chiusura, certo non ci si può appellare a un Kant per vedere ribaltati quei limiti. Tutto è stato il filosofo tedesco tranne che un intellettuale che si spendeva a che i suoi pensieri avessero un impatto nella società prussiana di fine Settecento.

Wednesday, April 14, 2010

I feed di Reset

Tutto quello che ci piace: ogni giorno articoli, discussioni, segnalazioni dalla stampa di tutto il mondo. Da ieri, sul blog di Caffe' Europa.

Friday, April 09, 2010

La storia e i frullatori in cima alla montagna

Luca De Biase ha scritto qualche post intorno a un convegno di storia che si svolge in questi giorni a Torino. Ho l'impressione di non essere molto d'accordo con quel che scrive. Non sono d'accordo neanche con l'articolo di Bruce Sterling (il pdf lo trovate qui) che Luca ha scelto per la prima pagina di Nova24.

E' singolare che Sterling ci tenga a sottolineare che «noi non possiamo creare documenti fatti apposta per tramandare tutti i fatti relativi a noi». Innanzitutto perché i documenti storici non esistono in sé: una lapide funeraria romana o un piatto etrusco non lo sono. Oltre a ciò, che è abbastanza intuitivo, la questione sta in quel «tutti i fatti relativi a noi». I «fatti» e «noi» fanno molto più problema di come la mette Sterling. Che l'evento storico (la crocifissione di Cristo, i 300 delle Termopoli, per non parlare poi della quotidianità del passato) sia storia è ovviamente un fatto che «decide» lo storico preso in un contesto particolare che è quello della sua epoca, della sua società ecc. E' una decisione presa sulla base di interessi particolari e contingenti.

«Gli antichi Egizi crearono diversi obelischi (...) che rappresentavano una documentazione sull'Egitto» scrive ancora Sterling che così immagina una situazione che non c'è, come se lui (o lo storico) potessero essere lì presenti quando gli antichi erigevano i loro obelischi prendendone in presa diretta il senso autentico di testimonianza dell'Egitto. A Sterling bisognerebbe dire che tutto sta a intendersi per chi la «rappresentano» una documentazione e a qual fine. Soprattutto, la cosa interessante è il senso che le varie civiltà, di volta in volta, hanno attribuito agli obelischi e non tanto l'ambizione di recuperare quella testimonianza che è impossibile e inutile.

Sul finire dell'articolo, Sterling dice qualcosa che ci piace di più: «Gli storici esamineranno le prove che lasciamo loro in modo diverso da come noi le esaminiamo oggi». A parte il fatto che noi non lasciamo prove per i posteri, la consapevolezza della relatività delle prove qui affermata da Sterling è un'affermazione positiva da mettere agli atti. E tuttavia contraddice proprio tutto quello che ha appena scritto. Se le guarderanno in modo diverso, anzi, diremmo noi, se sceglieranno loro quali saranno prove e testimonianze della nostra civiltà, che senso rimane ad affermazioni tipo quella tautologica per cui «gli storici non sono interessati alla quantità dei documenti ma alla loro rilevanza storica»?

Capisco, andrebbe tutto argomentato molto meglio, epperò la posizione di Sterling mi ricorda quell'amico di famiglia che tanti anni fa, prima di una coscienza ambientalista diffusa, lasciava in cima ai monti che raggiungeva dopo faticose arrampicate dei piccoli elettrodomestici (frullatori, phon, coltelli elettrici ecc.) per lasciare traccia della nostra civiltà ai posteri o agli alieni.

PS
E la risposta di Luca De Biase.

Thursday, April 01, 2010

Elisabeth Noelle-Neumann

Qualche giorno fa è morta Elisabeth Noelle-Neumann una delle più importanti studiose di mass media nel XX secolo. Tra l'altro, ha elaborato questo modellino qui a sinistra, la cosiddetta «spirale del silenzio». L'idea di fondo della Noelle-Neumann è che di fronte a un'opinione pubblica contraria è molto difficile per un individuo sostenere posizioni devianti rispetto alla massa. Tanto difficile che alla fine tale individuo si riduce spesso al silenzio.

Friday, March 26, 2010

Nicchie e mainstream

E' uno dei video più scaricati della storia.
Io lo capisco, non è quello, non stai parlando della Rete ma del «fenomeno Lady Gaga», ma a me gli articoli, come quello di oggi della giovane-filosofa-cervello-in-fuga-Michela-Marzano-recente-passione di Repubblica, che parlano di Youtube e dicono «scaricato», mi fanno pensare alla piccola piccola nicchia che ieri sera ha pensato alla rivoluzione.

Thursday, March 25, 2010

Alfabeta strikes back

Non ne so più di queste righe uscite oggi sul Sole24ore, ma il fatto che Alfabeta torni di nuovo in edicola mi fa apprezzare questa giornata altrimenti così. Adesso da Bompiani ripubblicchino pure quell'antologia delle vecchie cose, che ho cercato ovunque e che sembra cancellata dalla faccia della terra.

Tuesday, March 23, 2010

Bocca a bocca

Di tutte le reazioni all’uscita del cardinale Angelo Bagnasco sulla centralità della questione aborto nel voto di domenica e lunedì, non mi pare di aver letto una cosa, semplice ma decisiva. L’Italia una legge che disciplina l’interruzione di gravidanza ce l’ha da decenni. Dirsi contro l’aborto significa dirsi contro una legge dello Stato.
Dopo un paio d'anni proviamo a rianimare il blog di Caffè Europa.

Monday, March 22, 2010

Memento

Congresso La Destra - Venerdì 7 novembre 2008 by Francesco Storace.Qui a sinistra quello che, comunque vadano le elezioni nel Lazio, sarà molto probabilmente il leader del secondo partito (dopo il Pd) in provincia di Roma e forse in Regione.

Thursday, March 11, 2010

Democrazia cos'è?

«L'architettura della rete riflette i vecchi sogni della democrazia. Tutte le persone sono uguali». Così scrive David Weinberger sulla primo pagina di gran bel Nova24 (bravi, Luca).
Però no, proprio no. Un presupposto della democrazia è che le persone sono di fatto tutte diverse. Hanno, per varie ragioni, diverse opportunità di partenza. E proprio per questo serve la democrazia che non prende atto di un fatto - che tutte le persone nascono uguali - ma indica una direzione, un obiettivo, un ideale: appunto, che tutte le persone devono essere uguali.

Wednesday, March 10, 2010

Reset 118

Thursday, March 04, 2010

X sta a Y come.

«I filosofi della scienza stanno alla scienza come gli arbitri di rugby stanno ai giocatori. Vorrei ma non posso». No, niente, è che leggendo un libro sulla Pantera mi sono ricordato di questa grande similitudine sentita da uno dei miei padrini universitari nell'89.

Friday, February 26, 2010

Google e i nazisti dell'Illinois

I miei due centesimi sulla vicenda della condanna ai manager di Google. Ovviamente, nessuno discute della responsabilità (e della coglionaggine) di chi ha scherzato e picchiato un ragazzo, perdipiù disabile. Non mi pare sia stato contestato da nessuno e la legge ha già condannato a suo tempo quei poveretti.

Come è stato ampiamente scritto, una prima questione che fa attrito e fa discutere è la condanna anche di coloro che mettono a disposizione lo spazio per pubblicare quei filmati, oltre a milioni di altri inutili o fantastici.

Ulteriore tema, collegato in parte a questo, è quello della libertà d’espressione. Se i tribunali iniziano a decidere quel che si può pubblicare on line, in effetti, sembra che la censura possa comparire da un momento all’altro.

Io non ho risposte, piuttosto vorrei notare un tema che non mi sembra di aver visto citato in questi giorni. La libertà d’espressione degli individui è un diritto fondamentale alla base delle democrazie occidentali. Uno strumento con il quale si garantisce la possibilità a tutti di dire e soprattutto di critica il potere costituito. E tuttavia è uno strumento che ha varie declinazioni. Non a tutte le latitudini si possono dire e scrivere le stesse cose. Io posso scrivere e pubblicare un certo articolo negli Stati Uniti e non posso fare la stessa cosa in Europa. Negli Usa è pieno di nazisti dell’Illinois che possono tranquillamente circolare, non lo stesso può accadere in Italia e men che meno in Germania, dove è vietato anche fotocopiare materiale antisemita.

La libertà d’espressione è profondamente radicata nella storia e nella cultura dei singoli Stati-Nazione. È da lì che viene quello che possiamo dire e quello che non possiamo. Ogni paese ha dei legittimi tabù storicamente fondati. Discutibili ma fondati sulla storia di quel paese.

La questione con la rete è che non è in un paese. Non ha paese, e per questo motivo le vecchie leggi s’inceppano. Il meccanismo della libertà d’espressione così come lo conosciamo funziona se esistono dei confini culturali, storici e anche geografici ben definiti. Altrimenti si riempie di sabbia ogni momento. E si arriva a situazioni ridicole come quella di qualche mese fa, quando Repubblica.it per tutelarsi linkava foto delle feste nella villa sarda di Berlusconi prendendole dal sito del quotidiano spagnolo El Pais, foto a loro volta custodite in Colombia.

Thursday, February 25, 2010

Oi phantòccioi

No, niente, è solo che volevo dire che l'argomento retorico del fantoccio lo conoscevano già un duemila anni fa (anzi di più) e non aveva un nome inglese. Per dire, Aristotele ricostruì nella Metafisica in maniera quanto meno fantasiosa le vicende di quelli che i nostri manuali considerano suoi predecessori (proprio perché li mette lui alle sue spalle). E i suoi successori glielo rinfacciarono eccome.

Tuesday, February 23, 2010

Il cervello che pensa e la cultura non sa

Provate per esempio a pensare a vostra madre, poi a voi stessi, infine a un politico famoso. Se siete nati a Milano o New York, il vostro cervello si attiverà in maniera diversa per ognuno di questi pensieri. Se invece vivete a Tokyo o Delhi, tenderete a unire le tre cose, mettendo insieme la percezione dell´Io, della famiglia e della società.
Certo, la colpa non è di Anais Ginori, la giornalista che oggi su Repubblica presenta l’ennesima grande frontiera della nuova koinè: le neuroscienze. La quantità di incongruenze, paradossi, difficoltà, che escono fuori a leggere l’articolo meriterebbero almeno di sorvegliare le parole. Si racconta dell’ultimo filone che avrebbe preso lo studio del cervello, ossia studiare quanto le differenze geografiche e culturali determinano il nostro modo di pensare. Messa così sembrerebbe un’apertura. Vedi, si potrebbe dire, si sono aperti a una qualche forma di relatività, i norvegesi e gli aborigeni australiani magari pensano in maniera diversa. E la giornalista lascia intendere questo (certo dice pure che ci sono discussioni, ma se lo scrive Newsweek un qualche interesse ci sarà).

Il gran problema tuttavia è appoggiare quest’intuizione sul legame tra pensiero (che poi qualcuno dovrebbe dire cos'è) e latitudine di provenienza sulle neuroscienze come se queste fossero qualcosa che sta fuori dalla cultura così come è a Manhattan oppure nel mezzo del Borneo.

Come se lì ci fossero le culture, che producono dei modi di pensare così e così (nei boxini, Rep. mette Aristotele e Confucio), e fuori da esse ci sono gli scienziati con i loro strumenti, evidentemente extra-culturali e non frutto di pensiero, che ti fanno vedere le differenze tra culture.

In tutti questi studi, e soprattutto in tutte le sintesi giornalistiche che li raccontano, non sopravviene mai il dubbio che le neuroscienze non stiano da qualche parte fuori, fuori dalle culture. Che anch’esse sono un prodotto di un cervello e dunque di una cultura.

Sarebbe facile discutere affermazioni come «l´individualismo degli occidentali o lo spirito collettivo degli orientali è visibile nei processi cognitivi». Vorrei proprio vedere cosa si vede.
Ma non è solo questo, né i rischi di razzismo che suciterebbero teorie del genere (non mi pare ne siamo stati immuni anche prima di venire a sapere dell’esistenza delle neuroscienze culturali). Piuttosto, quel che andrebbe discusso è l’ingenuità con cui si distinguono le cose che dipendono dalla cultura e quelle che no, che non sono affare della cultura ma che ci dicono proprio come le cose stanno. E questo non può essere affare delle neuroscienze.

Monday, February 15, 2010

I dubbi di Touraine

Secolarismo e laicismo? Hanno molti limiti. Individualismo? Da rivalutare. Femminismo? Non contro gli uomini ma per una autodeterminazione delle donne che passa pure per la pornografia.
Vado a intervistare il grande vecchio della sociologia francese con molti dubbi in testa.

Lo stallo multietnico e Maroni

Il paese è multietnico e questo è un fatto. Malgrado gli esorcismi (da Berlusconi in giù), cinque milioni di stranieri in Italia dicono che il multiculturalismo non è più una scelta.
La questione è che di questi cinque milioni non si sa che farne. Non è chiaro come inserirli nel tessuto sociale autoctono (sinistra) ma neanche come asservirli in una gerarchia pararazzista (destra). La rete per tenere ordinati questi cinque milioni di persone è piena di buchi. Soprattutto mancano le idee su come dovrebbe realizzarsi questa integrazione possibile.

Mancano a sinistra dove si ripete stancamente il mantra di parole svuotate: "differenze", "diversità", "culture", "apertura", "solidarietà", "tolleranza" ecc. sono canzoni da organetto ormai, con nessuna presa sulla realtà né su coloro che dovrebbero ascoltarle.
Nè tantomeno a destra si sa dove mettere le mani. Certo, si sa come raccogliere il consenso nel profondo nord impaurito ad arte, ma non come governare il fenomeno (vedi Milano). (Che poi qual è il fenomeno?)

Per questa ragione fa pensare l'intervista a Maroni sul Corriere. Che ci prova a guardare un dito più in là, sapendo bene che tanto da lì non può muoversi.
"Basta quartieri multietnici" dice. Che in verità che c'è di male, anzi dovrebbe essere la norma in una società multietnica un qualtiere multietnco, ma vabbé.
Basta quartieri multietnici. D'accordo, il problema è che poi viene fuori il quartiere dei cinesi, quello dei marocchini, dei peruviani ecc. E allora siamo da capo a dodici, e ti dicono che ti sei coltivato in casa il terrorista come a Londra, reclusi in ghetti monoculturali (Sen) a sovranità limitata dello Stato.
E allora bisogna distribuirli per la città, ma allora ti arriva la sciura milanese che ha votato l'Umberto e che no, il puzzo di curry per le scale proprio non ce lo vuole.
E allora si rimane così, senza un'idea. Fino alla prossima incazzatura, la prossima vetrina sfasciata, la prossima coltellata.

Monday, February 08, 2010

The View From Your Window

Andrew Sullivan, il celebre blogger Andrew Sullivan, ha tirato fuori un libro dalla sua rubrica (o meglio, dalla rubrica di foto dei lettori inviate da tutto il mondo) “The View From Your Window”. Il libro è qui e lo si può sfogliare per intero. Certo la foto di Roma rende fino a un certo punto. Però, l'impatto nel complesso del volume, vale.

Tuesday, February 02, 2010

DeLillo e il cattivo inizio

«La vera vita non è riducibile a parole scritte o dette. Da nessuno, mai». Sembra che inizi così il nuovo romanzo di Don DeLillo, Point Omega, storia di un rapporto tra un artista e un intellettuale, come racconta Antonio Monda oggi su Repubblica. Ora, qui non si discute del romanzo - ovviamente non lo ho ancora letto - ma dell'incipit. D'accordo, DeLillo è un grandissimo della letteratura contemporanea, d'accordo il Nobel ecc. Ma l'incipit, messo cosi' e' una banalita', peraltro molto discutibile. Quale sarebbe la vita «vera»? dico, dov'è? qual è quella vera di fronte quella presumibilmente falsa? E ancora, una volta identificata questa presunta vita vera, come se ne parla se non appunto attraverso «parole scritte o dette» che tutti quanti in ogni attimo pronunciamo o mettiamo nero su bianco? E poi, quando scriviamo e parliamo, cosa facciamo se non vivere una vita? Vera.

Monday, February 01, 2010

Il romanzo: da prodotto a servizio

Incollo qui le risposte che Francesco Dimitri mi ha dato per un pezzo uscito qualche giorno fa su Nova24. (L'editing è quello che è).


«Ho un Kindle e ci leggo di tutto: libri nuovi, che compro, e classici fuori diritti, che scarico gratuitamente». Non sono molti gli scrittori italiani che per ora hanno preso sul serio la rivoluzione in corso che sta coinvolgendo il mondo dell’editoria. Francesco Dimitri, autore di Pan (Marsilio), è uno dei pochi che smanetta con la tavoletta bianca di Amazon. Lo scrittore, dice, si sta trasformando da produttore a fornitore di servizi. Dovrà adattarsi ai nuovi strumenti e inventare una nuova narrativa. Altro che ipertesto, la nuova frontiera saranno le serie, come in tv.

Cosa leggi col tuo Kindle?

Soprattutto narrativa, ma anche saggistica - Charles Fort in cima alla lista, è una mia vecchia passione. Sul mio Kindle ci sono King, Dickens, Lovecraft, Machen, Steinbeck, Poe, ma anche autori minori come Kelly Armstrong e Richard Laymon... devo continuare?

Per ora, sembra che gli ebook vogliano convincere i lettori che non sono così diversi dalla carta. come a far scordare che si tratta di un supporto diverso. Secondo te, quali sarebbero prospettive da sviluppare?

Prima di avere un ebook, neanche io mi rendevo conto di quanto avrebbe cambiato il mio rapporto con i libri. Leggere da un ebook reader è come leggere da un libro cartaceo, ma ne ho centinaia sempre con me (e risolvo, o almeno diminuisco, problemi di spazio piuttosto seri).
E poi, certo, ci sono degli svantaggi: una bella edizione su carta di buona qualità ha una carica sensuale che nessun reader ha. Però non è un gioco di vincitori e vinti: si andrà verso edizioni cartacee sempre più belle e edizioni digitali sempre più funzionali, raggiungendo un bilanciamento tra le due. Almeno, spero.

L'idea di una narrativa ipertestuale non ha avuto molto successo a parte qualche esperimento deludente. Le cose andranno diversamente con Kindle e soci?


Dubito. Il problema della letteratura ipertestuale è che anche gli esempi più famosi (penso ad Afternoon di Michael Joyce) sono una noia mortale, leggibili solo da accademici e appassionati. Altre forme ipertestuali, meno pretenziose ma concettualmente più interessanti, come i libro-game, probabilmente potrebbero conoscere una seconda giovinezza: ho visto edizioni elettroniche della storica serie Choose your own adventure, e sono fatte molto bene. Però ricordiamoci che i libro-game hanno avuto in alcuni periodi tirature altissime anche su carta.
Io credo che l''interattività' sia molto spesso una buzzword vuota. Il vecchio libro è già molto interattivo: leggere non è possibile, senza completare le parole con la propria immaginazione. Non è detto che l'ipertesto sia un'esperienza 'più' interattiva del 'testo-e-basta'. Poi, io sono sempre aperto alle novità, e magari tra due mesi uno scrittore nuovo mi esalterà con un ipertesto divertentissimo. Ma non credo che i lettori di ebook, di per sè, spingano in questa direzione.

Per uno scrittore cosa dovrebbe essere il nuovo? La possibilita' di aggiungere inserti multimediali in un romanzo (link, sonoro ecc.)?

Anche, ma non credo sia la cosa più importante. Il punto è che a molti la semplice parola scritta continua a piacere. Pensa ai blog: certo, ci sono video e immagini, ma si basano per la maggioranza sulla scrittura. Il mio non è un discorso conservatore, tutt'altro: adoro le forme miste, sono un videogiocatore appassionato, non sto difendendo una presunta 'purezza' del libro. Dico solo che non tutte le novità passano attraverso colori e suoni.
Io credo che la più grossa novità portata dai lettori di ebook potrebbe essere un cambiamento della forma-romanzo, e sto provando a lavorare anche in questa direzione. Il romanzo è solo una forma che la narrativa ha assunto in un periodo storico: potremmo arrivare a forme miste, che in parte pescano nei vecchi romanzi d'appendice, in parte nelle spettacolari soluzioni trovare negli ultimi anni da autori televisivi. Ecco, se una cosa prevedo nel futuro dell'ebook, è un ritorno massiccio della serialità.

Sei un appassionato di giochi. Quanto c'è di narrativo in un gioco? e di letterario?

Moltissimo. Io sono in particolare un appassionato di giochi di ruolo, che si basano sulla creazione di storie. E c'è una perfetta continuità tra giochi, scrittura e vita: tutt'e tre sono piacevoli, e se non lo sono, c'è qualcosa che non va. In tutti e tre i casi ci sono regole, e c'è il piacere che viene dal superarle, dall'aggirarle, dal trovare il modo di fregarle. Ci sono scrittori che hanno un approccio molto serio e per niente ludico alle loro cose. Da lettore, di solito non mi piacciono.
Tra l'altro il mercato dei giochi di ruolo, che è un mercato piccolo e di nicchia, ha scoperto gli ebook da anni, molto prima che arrivassero all'attenzione del grande pubblico.

Gli ebook segnano anche la fine dei limiti fisici di un romanzo. Pensi che lo spazio infinito del digitale possa cambiare qualcosa per il lavoro dello scrittore?

Assolutamente sì. Io credo che siano in arrivo tempi eccitanti, e lo dico sia da lettore che da scrittore. Da lettore, perché le mie possibilità di accedere a libri aumentano: se ho voglia di un horror, apro il mio kindle e in meno di cinque minuti ce l'ho. Da scrittore, perché appunto, ci sono nuove sfide, nuovi formati da inventare.
C'è un cambiamento epocale, in corso, in cui il libro smette di essere un 'prodotto' e inizia ad essere un 'servizio'. Con un kindle e un iPhone puoi accedere ai libri che hai comprato praticamente sempre. Se anche hai lasciato a casa il Kindle, accendi l'iPhone e continui a leggere il tuo ebook da dove ti eri fermato. Appunto, un servizio cui accedere. Niente più 'ora-come-faccio-ho-lasciato-il-libro-a-casa-e-il-bus-è-in-ritardo'. Per un lettore avido come me, questo è impagabile.
E gli scrittori diventano sempre più fornitori di servizi. Sempre più utili, sempre più importanti.
Ma anche gli editori avranno un posto fondamentale, perché se l'offerta diventa virtualmente infinita, un marchio che ti dice 'questa offerta è di qualità' serve.
Insomma: non vedo disastri, all'orizzonte, solo nuove possibilità per tutti. Tutto sta a saperle coglierle... ma questo, ahimè, è un altro discorso, e mi sembra che non tanti si stiano distinguendo per lungimiranza.

In un articolo di qualche mese fa, Steven Johnson suggerisce uno scenario nel quale il nostro libro è inserito in rete, potremo sempre ricorrere a quello che chiama un "global book club". Le pagine avranno un loro rank e gli scrittori potranno lavorare su questo, taggare i singoli paragrafi, acquisto di singoli capitoli. Ecc. Tutto questo t sembra una prospettiva positiva per il futuro per la letteratura?


Completamente. Ancora una volta: tutto sta ad adattare la narrativa alle tecnologie con cui narri. Quando il libro cartaceo era la forma privilegiata di diffusione di storie, il 'romanzo' così come lo conosciamo si è imposto come standard. Adesso nascono forme nuove. Ma anche nuovi modi di lavoro: riscrivere vecchie cose è il sogno di qualsiasi scrittore... e la possibilità di farlo che offrono i formati digitali è formidabile. Magari interagendo con i lettori in tempo reale, e cogliendo i loro spunti, come facevano i cantastorie orali di un tempo.
E le vecchie forme non moriranno: continueremo ad avere anche romanzi 'classici', per fortuna. Solo, ci saranno forme nuove che si affiancheranno loro.

Luca lo sa

Luca dice bene i miei dubbi sull'iPad.

Tecnologicamente, l'iPad è un'evoluzione di idee già viste, con un tocco (questo sì magico) di design straordinario. E rispetto a ogni altro tablet è focalizzato su un valore d'uso ben preciso: leggere, accedere al web, accedere a contenuti. E adattandosi al mezzo, fare la mail, fare i conti, fare presentazioni, scrivere. Non è il massimo della portabilità e non è il massimo per produrre: a quelle attività servono meglio l'iPhone e il Mac. L'iPad doveva diventare il massimo in qualcosa di intermedio. Che probabilmente è la fruizione comoda dei contenuti digitali, a un prezzo molto contenuto se ci si accontenta (come è probabile per adesso) della versione che privilegia la connessione wifi.

Friday, January 29, 2010

Perché l'iPad è vecchio

Impressioni superficiali sul nuovo giochetto

Uno degli effetti (forse marginali o forse no) dell’economia cosiddetta «postindustriale» e dell’«immateriale» è quello di aver reso molto difficile separare tempo del lavoro e tempo libero. Come sanno molti che lavorano ore davanti al computer, è difficile separare con precisione quello che si fa per lavoro e quello che si fa per svago, per divertimento ecc. Facebook può essere lavoro e no, blog possono essere lavoro e no, YouTube può essere lavoro e no. Non solo perché possono essere usati per entrambe le attività ma proprio perché ogni singola attività può svolgere entrambe le funzioni (lavoro e tempo libero).

Ecco. Il pensiero che ho avuto guardando l’iPad è che questa ampia zona grigia nella quale si lavora e ci si intrattiene allo stesso tempo sia stata dimenticata, o comunque lasciata da parte volutamente. Come se Jobs abbia realizzato qualcosa che si riferisce a un mondo precedente, nel quale gli ambiti erano ben distinti.

No, non c’entra con l’iPhone che in fondo rimane, almeno nelle dimensioni, un telefono quindi difficilmente sovrapponibile al pc per molte funzioni (leggere, scrivere, vedere film, anche giocare ecc.). L'iPad ti costringe a stare nei limiti del dovuto molto più di quanto lo fa un portatile qualsiasi. Se voglio leggere un libro e poi usarlo per il mio lavoro, se voglio vedermi un video mentre faccio calcoli, devo usare due strumenti! posare l'iPad e accendere il computer. L’iPad è perlopiù un player orientato a video, libri, giornali e tutto quel che sarà ecc. ma che non permette di lavorare al modo in cui si lavora in molti ambiti in questo tempo: molto spesso cazzeggiando pure.

Wednesday, January 20, 2010

Brian Arthur e l'evoluzione della tecnologia

Intervista a Brian Arthur - ingegnere, economista e altro - su come la tecnologia evolve in modi non troppo diversi dai modi animaleschi qui il pdf. (Uscito su Nova24)

Tuesday, January 19, 2010

Reset 117

Uscito oggi.

Thursday, January 14, 2010

Immagini allo specchio

Ieri, per la prima volta il titolare ha passato il pomeriggio in una commissione di laurea. Esperienza interessante ma non è di questo che voglio parlare.
Una delle tesi che ho seguito analizzava il fotogiornalismo in Italia dalle origini fino all'attuale crisi del settore. Crisi che per molti aspetti coincide con quella del giornalismo nel complesso. La rivoluzione digitale ha trasformato l'intera filiera delle immagini: produzione, archiviazione, ricerca, distribuzione, distorsione, fotoritocco ecc.
E' stato un bel lavoro fatta da una ragazza appassionata.
Il correlatore ha obiettato che non basta la buona volontà per dare speranze al settore, ma forse si dovrebbe pensare a qualche cosa d'altro per far uscire il fotogiornalismo (come il giornalismo in generale) dalla crisi nella quale versa. Nel controbattere la candidata ha vacillato un po' (in fondo non è semplice dare una risposta al volo a una domanda che toglie le parole di bocca all'intero comparto dell'informazione mondiale).
Poi ha buttato lì: ecco, forse si potrebbe iniziare dalla qualità delle immagini, dalla selezione. Per esempio, evitando la standardizzazione del taglio delle foto, della scelta, dei soggetti. Insomma, concludeva la giovinetta, una strada da battere per far respirare il fotogiornalismo potrebbe essere non pubblicare sempre le stesse foto.

Tutto questo per dire che oggi Corriere della sera (prima pagina in pdf) e Repubblica (prima pagina in pdf)per raccontare la tragedia di Haiti hanno scelto la stessa identica foto.

Monday, January 11, 2010

Ah, la balle


A Parigi ho scoperto una delle migliori riviste del pianeta: So Foot. Una delle migliori in assoluto, non solo sul calcio o lo sport. E' fatta da un gruppetto di ragazzotti molto svegli. Nel numero speciale sulle cinquanta leggende del pallone mondiale l'Italia vi compare per: Il Torino di Superga, la Lazio fascista del '74, Gigi Meroni e Pasolini. Indirettamente anche quando si parla della Nord Corea nel '66. I primi da leggere sono: il Cosmos, il Nottingham Forest, Biri-Biri il primo giocatore africano in Spagna.
(E noi ancora con le figurine Panini).

Saturday, January 02, 2010

Ah, la presse

Appunti su alcuni giornali francesi


Il giorno della notizia del rapimento di due reporter di France 3 in Afghanistan, Le Monde apre il giornale con la "Tax Carbone" (tassa sulle emissioni di Co2) di Sarkozy.

Pagina 2, 3 e 4 di Liberation nella prima uscita del 2010 (il 2 gennaio) sono dedicate a Sigmund Freud.

Il 1 gennaio Le Monde dedica un articolo di un paio di cartelle ai festeggiamenti del capodanno. Un riassunto di quello che è capitato agli Champs Elisee, a Bordeaux, a Lille, a Marsiglia.

Nouvel Observateur, settimanale di informazione, nell'ultimo numero del 2009 dedica una copertina al Rinascimento.

Le Magazine Philosophique e la rivista di cultura ebraica fanno bella mostra nell'edicola a Place de la Republique.

Gli ultimi numeri dell'anno del magazine di Le Monde sono dedicati a Lula uomo dell'anno 2009 e ai migliori chef francesi.

Le Monde il 2 gennaio mette Ascanio Celestini in prima pagina.