Saturday, March 31, 2007

Giochi pericolosi


Parla Wu Ming

Per "inaltritermini" ho intervistato Wu Ming in occasione dell'uscita del nuovo romanzo Manituana. Copioeincollo il testo.

Manituana. Una grande epopea in forma di romanzo ambientata durante la Rivoluzione americana e osservata dal punto di visto di chi si è trovato in casa la Storia senza essersela cercata: le sei nazioni irochesi, native di quella zona al confine tra gli attuali Canada e Stati Uniti. Un'indagine e un lungo racconto realizzato con gli strumenti dell'inchiesta storica in un'epoca che ha segnato una frattura che arriva fino ai giorni nostri. Il mondo, da quel 1775, ha preso una via e ne ha lasciate da parte molte altre.
Manituana, un successo annunciato che in pochi giorni (il libro è uscito il 20 marzo) sta già conquistando i lettori italiani. Pile di volumi nelle maggiori librerie, numerose recensioni sui principali giornali. A contribuire alla curiosità per l'opera c'è anche il mistero intorno all'autore: Wu Ming. Chi è Wu Ming? O meglio, chi sono? Già, perché si tratta di un autore collettivo (sono in cinque) che qualche anno fa salì alla ribalta con lo pseudonimo Luther Blisset e con un romanzo di successo come Q, che da allora ha venduto qualche centinaio di migliaia di copie. Da allora, ne hanno fatta di strada con altri romanzi, sceneggiature per il cinema e un impegno di ricerca sulla nuova cultura che nasce e cresce sul Web e che è testimoniata dal loro sito e da quello che hanno messo in piedi per questo nuovo romanzo.

Perché avete scelto il Nord America a ridosso della Rivoluzione americana e la guerra contro l'Inghilterra?

Ci interessava occuparci della nascita degli Stati Uniti, l'inizio della storia nazionale nordamericana, perché nel punto d'origine sono spesso contenute in potenza le premesse degli sviluppi successivi. Facendo le ricerche ci siamo imbattuti in una guerra mondiale transatlantica e in uno scenario molto diverso da quello fornito dal mito rivoluzionario. Scegliendo il punto di vista di chi quella guerra l'ha persa ci siamo accorti che le cose erano infinitamente più complesse di quanto ci è stato raccontato. Di solito si considera la rivoluzione americana come un prodromo di quella francese, ispirata dai princìpi illuministi, ma cambiando l'angolo di visuale si arriva a mettere in discussione questo assunto fino quasi a ribaltarlo. I personaggi in cui ci siamo imbattuti e che sono diventati i protagonisti del romanzo sfuggono a qualunque idea preconcetta su quel contesto e su quell'epoca. Una sfida letteraria per noi molto affascinante.

Dove è il confine tra fiction e storia in questo romanzo?


I personaggi e gli eventi fittizi sono davvero pochi. Abbiamo romanzato una storia "vera", interpretandola a modo nostro.

La Riforma e il secondo dopoguerra come sfondo ai precedenti romanzi collettivi. Come scegliete il periodo storico nel quale ambientare le vostre storie?


Sulla base di suggestioni condivise, seguendo l'istinto, poi vagliando ipotesi. Ci interessano i momenti di passaggio, di trasformazione, che richiamano in qualche modo il presente. Il nostro modo di raccontare il mondo che ci circonda è guardare indietro, perché siamo convinti che il passato sia qui insieme a noi e agisca sulla contemporaneità, con il grosso vantaggio, però, di poter essere messo in prospettiva.

Le donne svolgono un ruolo importante nella storia. Perché questa scelta?
C'è qualche donna nel vostro gruppo di scrittura?


No, siamo cinque uomini. Manituana è il primo romanzo in cui abbiamo cercato di introdurre massicciamente un punto di vista femminile sul mondo e sulla storia. In questo siamo stati avvantaggiati dal fatto che la società irochese era di tipo matriarcale e il ruolo svolto dalle donne era infinitamente più importante di quello ricoperto dalle loro omologhe nella società bianca. Una delle chiavi di lettura del romanzo è forse il diverso rapporto degli uomini e delle donne con la sconfitta e la catastrofe. Manituana è, tra le altre cose, un romanzo al femminile.

La solita domanda: come si scrive un libro a più mani?

Il metodo si basa sulle discussioni collettive, che producono la trama, la scaletta e la sceneggiatura di ogni capitolo. Poi, indipendentemente da chi scrive la prima stesura, ogni capitolo viene rielaborato collettivamente, fino a che non convince tutti. E' una palestra di umiltà incredibile, perché impedisce di assecondare le idiosincrasie individuali e consente invece di esaltare le qualità singolari di ognuno.

Avete realizzato un sito molto ricco per questo libro (www.manituana.com). Si tratta di uno strumento di promozione o c'è qualcos'altro intorno?

C'è molto altro. Il sito vuole essere una vera e propria prosecuzione ed estensione del romanzo con altri mezzi. Dentro si possono leggere diversi racconti di contesto e accedere ai materiali utilizzati per la stesura del romanzo. Ci sono mappe, immagini, biografie dei personaggi, musiche ispirate dal tema trattato, un trailer. Sarà perfino possibile ascoltare l'audio di alcune riunioni, per farsi un'idea più chiara di come lavoriamo e scegliere tracce narrative collaterali, diramazioni possibili della trama, che suggeriamo di sviluppare ai lettori stessi. Il sito è una porta d'ingresso nell'universo di Manituana e un invito a partecipare alla sua scoperta.

Wednesday, March 28, 2007

Siamo a Milano

Leggere i necrologi del Corriere ti fa sentire proprio in un altro mondo, così esotico. Così pieno di contessine, di Visconti di Modrone, di Giuppi, di Gianmaria, di 1899, di velette, di capelli lilla.

Monday, March 26, 2007

La Nussbaum sui diritti delle donne e quelli dei chirurghi

«L’argomentazione secondo cui le donne velate in strada costituiscono un problema di sicurezza è davvero comica: noi abbiamo a che fare ogni giorno con persone dal volto coperto, dai chirurghi e dentisti agli abitanti di Chicago quando escono in inverno! E nessuno sostiene che ci sia un rischio per la sicurezza».
Il resto dell'intervista qui (per ora in inglese).
Resetdoc.org

Piccole soddisfazioni del mestiere più duro

Per i presbiti: cliccare sull'immagine.

Quando è troppo è troppo

Non eravamo tra i più scettici su Second Life, anzi ci piaceva pure l'idea. Ma quel Garibaldi pixeloso...
Repubblica.it

Saturday, March 24, 2007

E 100

Appena uscito.
Reset

Monday, March 19, 2007

Miti di casa nostra

In occasione dei 50 anni dei Miti di Barthes, ritiriamo fuori questo pezzetto uscito qui.


Mozzarella di bufala, un mito d'oggi

Era qualche tempo che mi ronzava in testa una questione. In sostanza la si potrebbe riassumere così: perché una volta i ristoranti italiani erano pieni di cocktail di gamberi e pennette alla vodka e ora non lo sono più? Possibile che non ce ne sia più traccia? Sì, è possibile: non vedremo più comparire improbabili conchiglione con qualche crostaceo appoggiato su di una foglia di lattuga e affogato nella salsa rosa né tantomeno pasta corta ai superalcolici. Quei menù ricompariranno tuttalpiù in qualche amarcord alimentare. D'altra parte, basta poco per accorgersi che quei piatti sono stati sostituiti da altri. Da Ragusa a Bolzano, esistono altri cibi che spopolano in ogni trattoria, ristorante, pizzeria, spaghetteria, bruschetteria. Di bocca in bocca, è proprio il caso di dirlo, nuove scoperte attraversano senza remore le nostre terre, colonizzando le nostre tavole, omologando il gusto senza che nessuno si fermi a guardare nel piatto in cui mangia. E su di esse, su tali novità ci concentreremo più avanti.
Esiste un vero e proprio fenomeno evoluzionistico. Un piatto compare sul pianeta dalla ristorazione; vince la lotta per la sopravvivenza per qualche anno; poi, in breve tempo, viaggia verso l'estinzione, verso lo status di fossile alimentare. Quali sono le ragioni di questa ascesa e del suo inevitabile declino? Molteplici, si dirà. Certo, il mercato conta. Certe esplosioni sono determinate dal mercato. Se qualcosa costava 100 pochi anni fa e oggi costa 10, è lecito aspettarsi che se ne trovi in maggior quantità nel circuito della produzione e della vendita.
Tuttavia, noi in questo articolo formuleremo un'altra ipotesi. Chiediamoci: e se la parabola di un cibo rispondesse alla stessa logica della nascita e della fine di una moda? Le categorie buone per analizzare un fenomeno come quello dei trend nell'abbigliamento, del look, possono funzionare per capire meglio quelle che si presentano come vere e proprie "mode alimentari"? Ecco, questo è il punto. Proviamo a partire da un classico e vedere di capirci qualcosa.

Simmel, Bourdieu e la distinzione

«La moda», scrive Georg Simmel nel suo saggetto più celebre, «è imitazione di un modello dato e appaga il bisogno di appoggio sociale» (1911: 15). In poche parole, il padre della sociologia tedesca individua i due concetti chiave dell'analisi tanto psicologica quanto sociologica del fenomeno della moda. Secondo Simmel, l'impulso a seguire le mode negli uomini è determinato dalla sicurezza che un modello è in grado di trasmettere e dalla capacità di integrazione nella società che tali mode realizzano. Ma la moda in generale è anche altro. È estro, fantasia, creatività, distinzione. E Simmel non lo dimentica, anzi sottolinea proprio che essa «nondimeno appaga il bisogno di diversità, la tendenza alla differenziazione, al cambiamento, al distinguersi» (1911: 15).
La moda, anche nel suo senso più esteso, è questo susseguirsi dialettico di desiderio integrazione e fuga dalla normalità. È uno scatto in avanti verso il nuovo e una sosta nel nuovo che è intanto divenuto la regola. Questa trasformazione ciclica è ciò che fa sì che le mode passino, siano a tempo determinato, con una data di scadenza. Non si dà moda in assoluto, essa per sua intima essenza è caduca.
Ecco perché non si vedono più in circolazione cocktail di gamberi, nessuno ambisce più a distinguersi attraverso quel piatto. L'epoca si è conclusa e il piatto è tornato nell'oblio.
Un contributo importante per l'analisi di almeno una delle due tendenze sociali che determinano la moda è fornito dalla celebre opera di Pierre Bourdieu, La distinzione (1979). Si tratta, come è noto, di un corposo lavoro nel quale il sociologo francese si rivolge in diverse direzioni, tra le quali, una confutazione di qualsiasi critica del gusto di tipo intellettualistico. A differenza di Kant, il giudizio di gusto secondo Bourdieu è radicato nella concretezza dell'esistenza e nella struttura stessa delle classi sociali. Ci sono ragioni ben precise di ceto e di censo perché si giudica bella un'opera d'arte, ma anche – e questo preme molto a Bourdieu – per cui si beve una marca di whiskey piuttosto che un'altra o un determinato tipo di musica. Chi fa parte della classe dominante crea la propria identità anche attraverso la cultura cosiddetta "bassa", per esempio quello che sceglie in pizzeria. Chi non appartiene a quella classe, e ambisce ad entrarci, la scimmiotta. «La cosiddetta volgarità», ha detto una volta Bourdieu in un'intervista, «consiste spesso nel fatto che uno che non è naturalmente distinto, cioè non plasmato in modo da esserlo spontaneamente, assume gli atteggiamenti di chi è distinto» (1993). Non si tratta di "snobberia" sostanzialistica del sociologo francese. Piuttosto, Bourdieu mette in evidenza il fatto che i giudizi di gusto sono radicati in una rete di pratiche sociali che non possono essere messe tra parentesi.

Un latticino d'élite divenuto di massa

Sulla scorta di queste indicazioni tratte da due classici dell'analisi sociologica del gusto riprendiamo in mano il tema dal principio. Esistono oggi una o più mitologie (nel senso anche di Barthes 1957) della cucina affini a quelle passate alla storia? Noi pensiamo di sì. Esiste un case study eclatante della nostra ipotesi sulla analogia tra la moda e i cibi che vanno per la maggiore: la mozzarella di bufala. Questi latticini "dop" (denominazione di origine protetta) stanno ai nostri anni come i cocktail di gamberi in salsa rosa stavano agli anni Ottanta. Nella fenomenologia delle mode alimentari, "la bufala" è divenuta uno dei maggiori status symbol della ristorazione. Trecce, bocconcini, mozzarelle giganti si trovano ormai ovunque. Un letto di rucola (ci sarebbe un discorso da fare anche su questa specie d'insalata, che un tempo si trovava solo nei campi e si chiamava "rughetta"), pomodorini, volendo qualche fetta di prosciutto San Daniele o Parma. In pizzeria c'è la pizza con la bufala e i pachino. È la variante chic, si fa per dire, e costosa della classica Margherita.
Sotto la spinta del mercato - e del consumo e della condizione di prodotto esclusivo di massa - sono nati anche negozi che vendono quasi solo mozzarella di bufala. Esercizi nei quali si trova qualche cacio, qualche scamorza, carciofini sott'olio, ma se non ci fosse stato il boom delle bufale, sarebbero stati poca cosa.
Il mercato è esploso in questi anni e la produzione pure. In un'area che va dall'Agro Pontino al fiume Volturno e al sud della Campania, nel 2000 si producevano 18.200 tonnellate di mozzarella; nel 2001 si sfioravano 25 mila tonnellate; nel 2002 erano 26 mila0a, . Anche i prezzi sono lievitati: se a Napoli e dintorni la specialità casearia ino al sud della Campania, Pontino al fiume VOlturno costa tra i 12 e 14 euro al chilo, a Roma arriva a 15,50, a Milano arriva a un euro in più. Le comitive di giapponesi sono arrivate anche a visitare i caseifici campani, alcuni dei quali riescono a produrre mozzarelle a ciclo continuo, 24 ore su 24. Anche al Cnr hanno pensato bene di inventare, già un paio d'anni fa, un sistema di riconoscimento del latte di bufala che, a rigor di legge, dovrebbe essere l'unico ingrediente del formaggio snob. Per non cadere in "truffe" che spacciano per bufala mozzarelle "ibridate" con latte banalmente vaccino o, addirittura, di pecora o capra, la tecnica messa a punto permette di individuare le differenti proteine contenuto nei diversi liquidi. Così anche la scienza ci mette lo zampino per creare il mito della mozzarella à la page.

Mode alimentari? Una questione di classe

Come non vedere in questo exploit un'applicazione delle idee di Simmel alle "mode alimentari"? Tutti questi aspetti che riguardano il consumo della mozzarella di bufala conducono alla nostra ipotesi. Si vende e si mangia mozzarella di bufala perché è di moda. Certo, è buona, è un'altra cosa rispetto al fior di latte, ma questo può bastare a giustificare l'occupazione massiccia delle tavole italiane? Si mangia perché ci si adegua a un modello esclusivo che però è a portata di mano. Al ristorante la si ordina perché rassicura chi la mangia di far parte di quell'élite di persone che conoscono le cose giuste da mangiare, sanno apprezzare alimenti raffinati. Che sono "distinte" secondo la definizione di Bourdieu. O almeno che sono convinte di esserlo.
Un tempo chi mangiava la "bufala" era una persona di classe (elevata), che apparteneva a una élite che sapeva/poteva distinguere e apprezzare le differenze tra un formaggio e un altro. Distingueva e si distingueva. Era parte di un'avanguardia raffinata che sapeva scegliere e giudicare. Eppure, Bourdieu non si stanca di ricordarcelo, "essere un individuo di classe" equivale ad "appartenere a una classe privilegiata". Avere gusto e saper apprezzare la mozzarella di bufala significa, soprattutto, poterlo fare.
Come tutte le cose di moda ha perso l'aura di classe. L'élite, l'avanguardia che ha lanciato la moda, probabilmente, l'ha già dimenticata pronta ad inventare qualcos'altro da gettare sulla tavola. Tutti coloro che mangiano "la bufala" percepiscono la propria distanza, la propria "distinzione". Per dirla con Simmel, sentono appagato il loro bisogno di diversità. Ma non si rendono conto di essere giocati da un meccanismo che li trascende. Il pendolo della moda sta tornando indietro la creatività si è esaurita e ora è il tempo del già visto. È il meccanismo della moda, bellezza, anche nei ristoranti ci sono le collezioni stagionali. Ancora non è arrivata la primavera che già si pensa all'inverno prossimo.

La seduzione del consumo

Abbiamo fatto l'esempio della mozzarella di bufala, ma qualcosa di analogo capita per altri cibi. Che dire dei pomodori di Pachino? Pare non esistessero 15 anni fa, poi di stagione in stagione hanno sbaragliato il mercato. Addio San Marzano, addio classici pomodori da insalata. I Pachino sono diventati un marchio tutelato dall'Unione europea, un brand per accedere nel magico mondo del paradiso alimentare. Per non parlare poi del salmone affumicato. Era un pesce da matrimonio, non da tramezzino. Adesso è ammassato in tutti i supermercati accanto agli yogurt, in saldo già prima di Natale.
Zygmunt Bauman nel suo libro sulle conseguenze della globalizzazione sulle persone mette in evidenza come quest'aspetto sia parte essenziale dell'atteggiamento consumistico contemporaneo. Scrive il sociologo polacco: «Perché la loro capacità di consumo si accresca, i consumatori non vanno mai lasciati riposare; vanno tenuti sempre svegli e all'erta, costantemente esposti a nuove tentazioni, in modo di restare in uno stato di perenne eccitazione» (1998: 93-4). E cosa c'è di più eccitante di un cibo esclusivo, che solo noi "eletti" possiamo consumare? Questa ricerca di originalità è riassunta ancora da Bauman. «Lo scopo del gioco del consumo non è tanto la voglia di acquisire e possedere, né di accumulare ricchezze in senso materiale, tangibile, quanto l'eccitazione per sensazioni nuove, mai sperimentate prima. I consumatori sono prima di tutto raccoglitori di sensazioni: sono collezionisti di cose solo in un senso secondario e ordinario» (1998: 93). E questo è un gioco al quale tutti noi più o meno inconsapevolmente ci prestiamo. «In una società dei consumi che funziona correttamente», sottolinea il sociologo polacco, «i consumatori si danno da fare per essere sedotti» (1998: 93). Si tratta di una seduzione che solo l'esotico, il lontano, l'irraggiungibile può soddisfare. Beninteso, deve trattarsi di esotismo fatto su misura per noi, per il quale non dobbiamo affaticarci troppo a cercarlo. Deve essere qualcosa che possiamo trovare anche nella pizzeria o nella trattoria sotto casa. Appunto, come la mozzarella di bufala.



BIBLIOGRAFIA

Barthes R. (1957), Mythologies; trad. it. Miti d'oggi, Einaudi, 1974

Bauman Z. (1998), Globalization. The Human Consequency; trad. it. Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, 1999

Bourdieu P. (1979), La distinction; trad. it. La distinzione. Critica sociale del gusto, il Mulino, 1983

Bourdieu P. (1993), La violenza simbolica intervista nell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, http://www.emsf.rai.it/interviste/interviste.asp?d=388

Simmel G. (1911), Die Mode; trad. it. La moda, Mondadori, 1998

Su Second Life

In giro tra i blog (qua e qua) si trovano un po' di critiche a SL (in verità non tanto a SL quanto a come viene comunicato). Qui un lungo pezzo sul mio ideologo di riferimento per quel che riguarda la tecnologia, la cultura pop e molto altro.

Sunday, March 18, 2007

Sì, siamo figli illegittimi


Dopo la sparata (è meglio che un bambino cresca in Africa piuttosto che con due uomini o due donne), zia Rosi fa il disegnetto di legge che fa fare all'Italia un piccolo passo fuori dal medioevo.

Friday, March 16, 2007

Miti di ieri

Giusto 50 anni fa, Roland Barthes scriveva il suo manualetto sui luoghi comuni di un'epoca. A leggerlo adesso, sembrano pure due o tre ere fa.
Le nouvel Observateur

Lo sport fa male (alla lingua)


Questo gioco che mi ha drogato anni fa, mi accorgo solo ora, mi ha rovinato anche l'italiano oltre all'esistenza e agli occhi. Parole ricche di senso come "formidabile", "straordinario", "splendido" su qualsiasi pagina di qualsiasi libro, giornale o quel che è, mi accendono la lampadina verde bandiera inventata da quell'infame trio di svedesi una decina di anni fa.

Wednesday, March 14, 2007

Sapevatelo

Un italiano (Mauro Palma) alla guida del comitato contro la tortura del Consiglio d'Europa. Da noi non se ne parla però. Sarà perché Mr. Vladimir Putin è in Italia?

PS intervista a Palma sul Manifesto.

Monday, March 12, 2007

Altro che colombe

E noi che le copie omaggio le abbiamo regalate....
Lo stato attuale delle aste per Pasque di sangue di Toaff
Ebay

Le due culture

Quattro chiacchiere su realtà e verità tra Jonathan Lethem (scrittore di Brooklyn) e Janna Levin (fisica teorica della Columbia University). Qui, sulla stessa rivista del post qui sotto.
Seed

Thursday, March 08, 2007

La scienza from nowhere


Un'incredibile mappa che mette in relazione tutte le discipline scientifiche, da quelle più hard alle scienze umane. Il principio è quello del chi cita chi.
Uno sciame, una nuvola, un pesce, un branco di processionarie.
(Qui l'immagine a dimensioni poster per vedere cosa sono quei peli). (E qui l'articoletto scritto per Boiler)
Seed

Tuesday, March 06, 2007

Fight club


Quando si dice giornalismo sportivo di gran qualità e grande obiettività nel giudizio. L'articolo di cronaca su Lione-Roma dell'Equipe. Altro che Gazzette e Corrieri.
La Repubblica, L'Equipe

Sunday, March 04, 2007

E dopo?

Cosmopoliti o patrioti? Addirittura, firstlifers o secondlifers? Come ci divideremo dopo che destra e sinistra se ne saranno andate per sempre (come si vede che sono inglesi, neanche si sono posti il problema del centro)? Su Prospect chiamano a dire la loro un po' (un centinaio) di teste d'uovo anglofone. Perlopiù, la vedono nera nei prossimi dieci anni. La migliore risposta per me è di quel genio assoluto di Brian Eno. Ne ho scritto qui.
Caffe' Europa

Derrida che si capisce

Chissà qual è la ragione profonda per cui il Corriere della sera tra "Le idee del sabato" sia costretto a pubblicare un inutile e superficiale e gia' sentito migliaia di volte attacco a Jacques Derrida? Possibile non ci fosse pronta in redazione un'ennesima reazione al caso Toaff, una rivalutazione di Drieu La Rochelle? E invece niente. Giuseppe Galasso se la prende con Derrida perché questi sarebbe troppo oscuro e vuoto. Tesi tanto nota e sostenuta che non si comprende proprio perché riproporla per l'ennesima volta. Ma tant'è.

Ovviamente, Derrida non è facile da leggere. Come, d'altro canto non lo sono la Critica del giudizio o il Tractatus oppure il Sofista. E tuttavia, la lunga citazione criticata da Galasso è un topos per tutta la filosofia un po' spessa del XX secolo. Basta averne letta un po' per capire dove vuol andare a parare Derrida quando dice che "L'evento rimane nel e sul linguaggio, al contempo all'interno e sulla superficie". Anzi, è proprio quello di cui parlano l'ultima Critica e il Tractatus (e tanti altri prima e soprattutto dopo). Basta aver la voglia di leggerseli.
Corriere della sera

Friday, March 02, 2007

Altro che pistola sul tavolo

"All options are on the table", in sostanza George Bush, Hillary Clinton e John Edwards sono d'accordo: per evitare che l'Iran costruisca ordigni nucleari si debbono usare TUTTI i mezzi, anche i missili per l'appunto nucleari. George Lakoff analizza strategie comunicative, eufemismi, giri di parole utilizzati in questi mesi per far passare nell'opinione pubblica l'idea di un conflitto atomico possibile se non imminente senza darlo troppo a vedere. "Like the proverbial frog in the pot of water – if the heat is turned up slowly the frog gets used to the heat and eventually boils to death – the American public is getting gradually acclimated to the idea of war with Iran."
L'articolo completo è qui
Rockridge Institute

Thursday, March 01, 2007

Dubbio

Ma Cornacchione perché dovrebbe far ridere?
Rai uno