Certo, è noto ormai, molta parte della responsabilità la hanno i nuovi media, che attraverso la rapidità, la gratuità e la loro capacità di customizzare i gusti rendono molto problematica la vita ai transatlantici dell’informazione. Il self made journalism dei blogger ha lo stesso vantaggio che hanno i pirati che assaltano le petroliere nei mari del sud: costo irrisorio e massimo risultato. Mettiamoci anche la crisi finanziaria con il crollo dei consumi e di conseguenza della pubblicità su mass media e allora si spiega perché il 2043 sembra una previsione fin troppo rosea.
Se il costo del giornalismo rimane lo stesso ma le notizie si deprezzano, che si fa? Come salvare il salvabile? Innanzitutto, riconoscendo che la notizia è da una parte una merce che ha un suo valore commerciale e che i giornali sono imprese industriali e al tempo stesso che la notizia è anche l’energia attraverso cui viaggia la macchina democratica. È dunque una merce particolare che si consuma ma non alla stessa maniera di automobili o telefonini.
È da questo duplice valore dell’informazione, ricordava Jürgen Habermas in un suo intervento sulla Süddeutsche Zeitung e comparso da noi su Repubblica un anno fa, che bisogna partire per ragionare sul salvataggio dell’informazione e del suo particolare mercato. Una merce come la «comunicazione culturale e politica» è sui generis, spiega Habermas, «perché questa merce mette alla prova le preferenze dei fruitori e al tempo stesso le trasforma».
Qualche tempo fa si era scritto un pezzetto sulla crisi dei giornali e un possibile bailout per la stampa, riprendendo una cosa scritta da Habermas l'anno scorso. Sul finire del 2008 ne aveva scritto molto negli Usa (Sullivan e altri). Giuseppe Granieri scrive ora un bel post (che segnala Luca) su vicende annesse e, soprattutto, connesse.
No comments:
Post a Comment