Sbaglia il sindaco di Roma Gianni Alemanno a ritenere una “puncicata” a scuola figlia di un romanzo, di un film o di un telefilm. Le ragioni della violenza diffusa, palpabile ai semafori, nelle piazze il pomeriggio, ai muretti di ritrovo, in centro e in periferia, non è il parto di uno scrittore o uno sceneggiatore. Vero, sacrosanto. Altrimenti la saga del Padrino cosa avrebbe dovuto scatenare nel mondo? Ricordo ancora quando Giuliano Amato (da ministro dell’Interno, se non sbaglio) se la prese con i cantanti neomelodici napoletani che cantavano le gesta dei camorristi. Anche quella volta il moto per molti è stato quello del sorriso. Anche il mio, confesso.
Eppure, il riflesso condizionato che una parte pensante di questo paese ha di fronte al link messo da Alemanno è in parte miope, mi spiace, ma è così. D’accordo, «tutta la storia della letteratura, dal romanzo alla fiaba, è intrisa di violenza. È un modo per esorcizzarla, per allontanarla da noi» dichiara oggi Giancarlo De Cataldo, autore del romanzo capostipite, a Repubblica. Lo sappiamo, ma c’è qualcosa in più forse dietro la vicenda della fiction.
La metterei così: l’alterità della storia non è percepita.
La letteratura, l’arte in generale, esorcizzano perché mostrano la distanza dalla realtà, la mettono in mostra. Per dire, la violenza dei film di Kitano è ben chiaro che è violenza rappresentata, è molto difficile pensare che possa essere modello per qualche comportamento giovanile.
Nella fiction tv ispirata al romanzo di De Cataldo, la distanza tra l’immagine e la realtà è molto minore. Quasi nulla, e anzi, è uno dei punti di forza anche voluti da chi la realizzata, peraltro con grande successo.
Sarà per ragioni di tempo e di luogo (gli anni Settanta a Roma non sono poi così lontani) o per ragioni del mezzo (la televisione rispetto a cinema e letteratura normalizza), ma la percezione delle gesta della Banda della Magliana con quella sfrontatezza coatta dei romani, e che i “pischelli” romani del 2009 ben conoscono, sono molto meno mediate rispetto ai massacri ordinati da Vito Corleone.
C’è la stessa produzione di un’estetica, di un senso comune, di un look, che guarda in quella direzione. Il ritorno dei Ray-Ban a goccia o i giubbini di pelle stretti stretti. Ci vogliamo mettere anche la campagna di marketing virale per il lancio della serie lo scorso anno? Con molti ammiccamenti fascisteggianti? Filmati molto reality inneggianti alla mala romana (“Libanese uno di noi”). E la retorica della curva sud (e nord)? Una serie come quella coltiva l’immaginario, lo alimenta. Non solo rappresenta e racconta quello che fu, ma tende a flirtare con una identità ben presente oggi a Roma. Certo, il Dandi e il Libanese non sono la ragione e tantomeno le cause della violenza per le strade romane. Del morto ammazzato davanti al cornettaro all’Ostiense, delle coltellate in una scuola, dei cinesi massacrati alla fermata dell’autobus. Ma sono la normalizzazione di un altro letterario operata da una fiction di successo ormai quasi mainstream. Fa male a dirlo ma è così.
Tuesday, May 05, 2009
Cortellate ar core de Roma
Pubblicato da Alessandro Lanni a 9:43 AM
Etichette: gianni alemanno, la repubblica, roma
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