Wednesday, September 10, 2008

Filosofia delle piccole cose

Trovo l'articolo che qui copincollo sul sito di Loredana. A me sembra superficialmente condivisibile ma basta pensarci un po' e me lo sembra molto meno. Ho buttato qualche appunto giu' nei commenti. Se mi viene qualcosa d'altro lo metterò. Vediamo.

La critica apocalittica dell’industria culturale è un fenomeno di industria culturale, suggeriva Eco in Apocalittici e integrati. Era il 1964. Sono passati molti anni da allora, e sicuramente oggi anche un lettore severo come Citati, che nel ’64 criticava Eco, non si scandalizzerebbe più di fronte a un’analisi di Superman, preferendo piuttosto dedicarsi egli stesso a scrivere la Fenomenologia del tenente Colombo – come per altro Citati ha fatto. La critica apocalittica come fenomeno di industria culturale è dunque morta? Parrebbe di no, stando almeno all’articolo di Nicla Vassallo apparso sul supplemento culturale del “Sole 24 ore” il 29/6/ 2008 con il titolo Sopravvivere al pop pensiero.
L’Autrice attacca duramente i libri di filosofia dedicati ai polizieschi o alle serie tv, classificandoli come “volumi dozzinali che consegnano il discorso filosofico alle perversioni di un mercato editoriale ove il profitto a qualunque costo ha spesso il sopravvento sull’eleganza e la ricercatezza della qualità”. I termini e il tono sono fin troppo chiari: non c’è scampo per la filosofia della cultura di massa – e nemmeno il tempo per una sua seria analisi. Tanto meno per un’autocritica da parte dell’Autrice, benché forse sarebbe stata necessaria: Nicla Vassallo ha infatti pubblicato un saggio dedicato al film Matrix che è, a tutti gli effetti, un film pop.
Per parte mia, ho scritto insieme ad altri tre filosofi un libro di filosofia dedicato alla serie tv “Dr. House” (La filosofia del dr. House. Etica, logica ed epistemologia di un eroe televisivo) e a settembre pubblicherò Harry Potter e la filosofia. Fenomenologia di un mito pop. A differenza di Nicla Vassallo, non credo che la qualità di un’opera filosofica dipenda dall’oggetto o dal problema che essa tratta, ma dal modo in cui lo tratta: dalle questioni che pone, da come si articola la sua argomentazione, dal rigore della sua scrittura. Nel prologo del libro dedicato al dr. House non a caso scrivevamo: “Non ci sono cose degne o indegne di attenzione filosofica, ma solo buoni o cattivi modi di fare filosofia sulle cose. La filosofia non dovrebbe rinunciare a niente, nemmeno alla televisione”.
La forza della filosofia non è fatta né di anatemi né di esorcismi; e nemmeno di facili snobismi: la sua forza risiede proprio nella libertà radicale del suo domandare. Nessuno può dire che cosa e come la filosofia debba interrogare. Perché la libertà di interrogazione filosofica è radicale o non è. Ed è in nome della libertà radicale del suo interrogare che la filosofia può, senza troppi timori, dedicarsi all’analisi della cultura di massa e dei suoi miti che sono un elemento essenziale di questo nostro tempo di cui, diceva Sartre, non possiamo perdere nulla. Se la filosofia è il proprio tempo appreso con il pensiero è auspicabile che i filosofi che del proprio tempo vogliano capire qualcosa, e magari trasformarlo, abbandonino le pose, ormai logore, della critica apocalittica per cominciare a interrogare seriamente e criticamente la cultura di massa che è parte integrante dell’orizzonte simbolico del mondo in cui viviamo. Che si tratti di “pop filosofia” o di una nuova forma di filosofia per una nuova generazione di filosofi, non fa differenza. Si tratta, in ogni caso, di un pensiero che non rinuncia a niente.

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