Saturday, February 14, 2009

Il caso Englaro e le questioni di senso

Una cosa che forse andrebbe detta, a margine della vicenda Englaro e dei suoi mille risvolti, è la difficoltà in Italia di pensare in maniera autonoma e laica questioni generali, molto generali, quelle che qualcuno definirebbe “questioni di senso”. Per un verso legate al qui e ora ma per altro interrogativi che l’uomo da sempre si pone. Che ci facciamo qui? Da dove veniamo? Che senso ha vivere? E morire? E amare? Ecc.

Da una parte c’è la Chiesa, non solo quella cattolica, col suo prontuario di risposte con una dogmatica nella quale a ogni dubbio sul senso delle cose ha subito pronta una soluzione ad hoc. Ovviamente, per loro natura, queste risposte sono degne di fiducia, bisogna crederci, avere fede per l’appunto. Ma dall’altra parte? Chi quella fiducia non ce l’ha? Per ora, e il caso di Eluana non è che l’ultima dimostrazione, si invoca la libertà dei singoli di determinare il proprio destino e ci si appella al tempo stesso a quello che la scienza dice.

Il punto che vorrei mettere in evidenza è che così facendo si rimuovono alla radice le domande cui sopra. Nessuno si preoccupa di porre la questione di cosa significa stare al mondo per un non credente. Magari anche adombrando una risposta dubbiosa, critica, perplessa. Magari anche solo per porre la domanda e basta.

Prendiamo, la questione della vita e della morte. Il papa sappiamo come la mette. La vita è indisponibile perché è un dono di dio. Passo e chiudo. La scienza come si comporta? Descrive. Dice che l’alimentazione e l’idratazione non è autonoma, che c’è qualche segnale elettrico nel cervello ecc. Ma non fa, per sua essenza non può fare, il salto interpretativo e chiamare tutto questo “vita” o “morte”. La scienza non dice quando un essere vivente è morto. Quello lo fa discorso che direi filosofico, o più in generale, culturale. È un solo un dato culturale che ci dice se un corpo senza coscienza (o con pochissima e intermittente) è il corpo di una persona morta. La scienza, la tecnologia può al più portare la “fotografia” dell’fMRI di un cervello, ma non può dire se quel cervello è vivo o morto (certo, lo scienziato lo può fare ma non in quanto scienziato, utilizzando categorie non scientifiche).

Sempre più casi saranno analoghi a quello di Eluana. Molti dei nostri organi possono e potranno sempre più essere vincolati con la tecnologia per procrastinare la nostra dipartita. E questo chiede una risposta normativa ma, io credo, non solo normativa.
Al di là del significato del peso economico che tutto ciò avrà sul bilancio futuro della sanità, non sarebbe il caso di ripensare in questa prospettiva proprio i termini di una questione? Per esempio, iniziando col dire che vita e morte non sono dati, basi di partenza di una discussione, ma piuttosto punti di arrivo, sebbene transitori, di un ragionamento.

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