Giuseppe Granieri si dice affascinato dal fatto che alcuni ambiti che un tempo era spiegati attraverso la poesia, adesso lo sono attraverso la scienza (“l'amore, gli affetti, il modo in cui il nostro corpo funziona”). Sottolinea il concetto citando l'articolo odierno di Repubblica (l'ultimo di una lunga serie) sul radicamento cerebrale della socialità umana.
Come ho scritto altre volte, io trovo quegli articoli di una scemenza e ingenuità estrema, sono propri di quella cattiva interpretazione del giornalismo scientifico (se cosi' vogliamo chiamarlo) della stampa italiana. "Trovato il gene dell'amore", "l'area cerebrale dell'intelligenza", "il neurone della felicità": tutti slogan buoni per un titillare un po' di ignoranza scientifica, ma che non raccontano nulla di sensato. Declina il paradigma genetico, trionfa quello neuro. Addirittura dio si vorrebbe spiegato col cervello.
Certo, la neuorscienza potrà descrivere la "fotografia" cerebrale di una persona felice, ma non spiega affatto il senso della felicità, non dice mica cosa significa essere felici. E non si tratta mica di un limite quantitativo, come a dire che prima o poi ci arriverà. E' proprio che non lo può dire cos'è "essere felice" o "buono". Figuriamoci che la neuroscienza neanche cosa sia la mente riesce a dire.
Saturday, May 23, 2009
Granieri e il (cattivo) paradigma neuro
Pubblicato da Alessandro Lanni a 2:57 PM
Etichette: giornalismo, neuroetica
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1 comment:
Devo essere io che mi spiego male, se il mio post ha generato queste osservazioni :)
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